IN SPIRITO E VERITA'

GESU' E' SPIRITO E I VERI CRISTIANI
LO ADORANO IN SPIRITO E VERITA'
 
 
 

UNIONE E COMUNIONE

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2012 18:06
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20/01/2012 18:00

E ora ella è pronta per il servizio, e ad esso lo Sposo l’attrae; Egli le dice con sincerità:

Vieni con me dal Libano, o mia sposa;
Vieni con me dal Libano!
Guarda dalla cima dell’Amana,
Dalla cima del Sanir e dell’Ermon,
Dalle spelonche dei leoni,
Dai monti dei leopardi.


“Vieni con Me”. È sempre così. Se il nostro Salvatore dice: “Andate per tutto il mondo e predicate l’Evangelo a ogni creatura” (Marco 16:15), Egli premette: “Ogni potestà mi è stata data”, e anche: “Io sono con voi tutti i giorni” (Matteo 28:18,20). O se, come in questo caso, Egli chiama la Sua sposa, dicendole “vieni”, dice anche “con Me”. Ed è in seguito a questo amorevole invito che per la prima volta Egli cambia le parole “amica Mia” con altre ancora più affettuose: “Mia sposa”.
Cosa sono le spelonche dei leoni, quando il Leone della tribù di Giuda è con noi; o i monti dei leopardi, quando Egli è al nostro fianco! “Non temerò alcun male, perché Tu sei con me” (cfr. Salmo 23:4). D’altra parte, è proprio nel fronteggiare il pericolo, mentre ella sta affaticandosi con Lui nel servizio, che Egli dice:

Tu mi hai rapito il cuore, o mia sorella, o sposa mia!
Tu mi hai rapito il cuore con uno solo dei tuoi sguardi,
Con uno solo dei monili del tuo collo.


Non è meraviglioso come il cuore del nostro Amato può essere così rapito dall’amore di chi accetta il Suo invito, e può andare con Lui in cerca di coloro che sono perduti? Le note a piè di pagina nella versione Riveduta della Scrittura sono molto significative: “Tu hai estasiato il mio cuore”, o “Tu mi hai dato coraggio”. Se il cuore dello Sposo può essere incoraggiato dalla fedeltà e dalla compagnia amorevole della Sua sposa, possiamo rallegrarci e incoraggiarci l’un l’altro nel servizio. San Paolo dovette attraversare enormi difficoltà quando fu condotto prigioniero a Roma, senza sapere che cosa lo aspettasse lì; ma quando i fratelli lo incontrarono al Foro Appio, egli ringraziò Dio e prese coraggio. Che noi possiamo sempre fortificare le nostre mani l’un l’altro in Dio!
Ma per tornare al nostro discorso; lo Sposo rallegra i momenti di fatica e i ripidi sentieri del pericolo con la dolce comunicazione del Suo amore:

Quanto sono dolci le tue carezze, o mia sorella, o sposa mia!
Come le tue carezze sono migliori del vino,
Come l’odore dei tuoi profumi è più soave di tutti gli aromi!
Sposa mia, le tue labbra stillano miele,
Miele e latte sono sotto la tua lingua;
L'odore delle tue vesti è come l’odore del Libano.
O mia sorella, o sposa mia, tu sei un giardino serrato,
Una sorgente chiusa, una fonte sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrani
E d’alberi di frutti deliziosi,
Di piante di cipro e di nardo;
Di nardo e di croco, di canna odorosa e di cinnamomo,
E di ogni albero da incenso;
Di mirra e d’aloe,
E di ogni più squisito aroma.
Tu sei una fontana di giardino,
Una sorgente d’acqua viva,
Un ruscello che scende giù dal Libano.
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20/01/2012 18:00

Impegnata con lo Sposo nella salvezza dei perduti, le espressioni delle sue labbra sono per Lui come latte e miele; e figura su figura Egli le esprime la Sua soddisfazione e gioia. Ella è un giardino pieno di frutti preziosi e di profumi piacevoli, ma un giardino serrato, cioè chiuso; il frutto che ella porta può essere di benedizione a molti, ma il giardino è solo per Lui; ella è una fontana, ma una fontana chiusa, sigillata. Eppure ancora è una fontana da giardino, e un ruscello d’acqua viva che scende dal Libano: essa porta fertilità e dona ristoro ovunque vada; e tutto questo è da Lui e per Lui.
La sposa ora parla per la seconda volta in questa parte. Come le sue prime espressioni furono su di Lui, ora le seconde sono per Lui; l’io non si trova più.

Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud!
Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi!
Venga l’amico mio nel suo giardino
E ne mangi i frutti deliziosi!


Ella è pronta per ogni esperienza: il vento del nord e quello del sud possono soffiare sul suo giardino, se gli aromi se ne spandono per deliziare il suo Signore con la loro fragranza. Egli ha chiamato Suo il giardino di lei; che venga Egli dunque, e ne colga i preziosi frutti.
A questo lo Sposo replica:

Sono venuto nel mio giardino, o mia sorella, o sposa mia;
Ho colto la mia mirra e i miei aromi;
Ho mangiato il mio favo di miele;
Ho bevuto il mio vino e il mio latte.


Ora, quando ella chiama, Egli subito risponde. Quando ella è solo per il suo Signore, Egli le assicura di trovare in lei tutto il Suo compiacimento.
Questa parte si chiude con l’invito della sposa agli amici dello Sposo e della sposa, come pure a se stessa:

Amici, mangiate,
Bevete, inebriatevi d’amore!


La consacrazione di noi tutti al nostro Signore, piuttosto che ridurre la potenza da impartire, aumenta sia la potenza sia la nostra gioia nel ministrare per Lui. I cinque pani e i due pesci in possesso dei discepoli, dati al Signore e da lui benedetti, divennero più che sufficienti a nutrire le moltitudini affamate, e si moltiplicarono, nell’atto della distribuzione, al punto che quando tutti furono sazi avanzarono dodici ceste piene di pezzi di pane e di pesce (cfr. Marco 6:38-44).
Abbiamo, dunque, in questa meravigliosa parte, come abbiamo visto, un’immagine della comunione ininterrotta e della gioia che ne consegue. Possano le nostre vite corrispondervi! Prima, essere uno con il Re, e poi parlare del Re; la gioia della comunione porta alla comunione nel servizio, ad essere uno per Gesù, pronti a qualunque esperienza che servirà per continuare nel servizio, arrendendo tutto a Lui, e desiderando di ministrare tutto per Lui. Non c’è spazio per l’amore del mondo qui, poiché l’unione con Cristo ha riempito il cuore; non c’è spazio per le gratificazioni del mondo, poiché tutto è stato sigillato e preservato perché il Signore ne faccia uso.

Gesù, la vita mia è Tua!
E sempre sarà
Nascosta in Te.
Poiché nulla può separare
La Tua vita dalla mia.
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20/01/2012 18:00

PARTE 4



COMUNIONE DI NUOVO INFRANTA. RISTORAZIONE

Cantico dei Cantici 5:2 - 6:10



La quarta parte comincia con delle parole della sposa rivolge alle figlie di Gerusalemme, nelle quali ella narra la sua recente triste esperienza, e implora il loro aiuto nel suo dolore. Ha perduto di nuovo la presenza e il conforto del suo Sposo; questa volta non a causa di una ricaduta nella mondanità, ma a causa di pigra accondiscendenza con se stessa.
Non ci viene narrato quali furono i passi che la condussero a quel fallimento; di come l’io avesse ritrovato posto nel suo cuore. Forse la causa fu orgoglio per il livello spirituale che aveva raggiunto per grazia; o, non meno probabile, cura per la soddisfazione delle benedizioni che aveva ricevuto, anziché per Colui che aveva elargito le benedizioni; queste potrebbero essere state cause della separazione. Ella sembra essere inconsapevole della sua inclinazione; occupata di sé e soddisfatta di sé, scarsamente ha notato la Sua assenza; riposava, riposava sola, senza chiedersi dove Egli fosse andato, o che cosa stesse facendo. E più ancora, le porte della sua camera non era soltanto chiuse, ma sbarrate; segno che il Suo ritorno non era né desiderato né atteso con impazienza.
Eppure il suo cuore non era lontano da Lui; c’era una musica nella Sua voce che risvegliava degli echi nella sua anima come nessun’altra voce poteva fare. Ella era ancora “un giardino serrato, una fonte sigillata”, per quanto riguardava il mondo. La trappola questa volta fu ancora più pericolosa e insidiosa perché non era attesa. Leggiamo la sua narrazione:

Io dormivo, ma il mio cuore vegliava.
Sento la voce del mio amico che bussa e dice:
“Aprimi, sorella mia, amica mia,
Colomba mia, o mia perfetta!
Poiché il mio capo è coperto di rugiada
E le mie chiome sono piene di gocce della notte”.


Quanto spesso la posizione dello Sposo è quella di corteggiatore che bussa fuori dalla porta, come nella Sua lettera alla chiesa di Laodicea (o “la chiesa dell’opinione popolare”, come la definì il reverendo Charles Fox in un discorso a Keswick, come pure definisce la chiesa di Filadelfia “la chiesa dell’amore fraterno”): “Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la Mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con Me” (Apocalisse 3:20). È triste che Egli debba stare fuori a una porta chiusa, che sia costretto a bussare; ma ancora più triste è che Egli debba bussare, e bussare invano alla porta dei cuori che ora appartengono a Lui. In questo caso non è la posizione della sposa ad essere sbagliata; se lo fosse, la Sua parola come prima sarebbe “Alzati, e vieni”; ma ora la Sua parola è “Aprimi, sorella mia, amica mia”. La sua condizione di soddisfazione di sé e amore del riposo avevano chiuso la porta.
Molto toccanti sono le parole dello Sposo: “Aprimi, sorella mia” (Egli è il primogenito di molti fratelli), “amica mia” (l’oggetto della devozione del Mio cuore), “colomba mia” (colei che è stata adornata dei molti doni e della grazia dello Spirito Santo), “mia perfetta” (lavata, rinnovata, e purificata per Me); ed Egli la incita ad aprire facendo riferimento alla Sua condizione:

Il mio capo è coperto di rugiada
E le mie chiome sono piene di gocce della notte.
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20/01/2012 18:01

Perché il Suo capo è coperto di rugiada? Perché il Suo cuore è il cuore di un pastore. Ci sono quelli che il Padre Gli ha dato che vagano sulle oscure montagne del peccato: molti, oh quanti, non hanno mai ascoltato la voce del Pastore; molti, troppi, coloro che una volta nell’ovile si sono allontanati, lontano da quel rifugio sicuro. Il cuore che non può dimenticare, l’amore che non può venir meno, devono cercare le pecore vaganti fino a quando l’ultima non sarà trovata: “Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’Io opero” (Giovanni 5:17). E potrebbe ella, che fino a poco tempo prima è stata al Suo fianco, e che con gioia ha affrontato le spelonche dei leoni e le montagne dei leopardi, lasciare il Suo Amato solo nella ricerca delle pecore erranti e perdute?

Aprimi, sorella mia, amica mia, colomba mia, o mia perfetta!
Poiché il mio capo è coperto di rugiada
E le mie chiome sono piene di gocce della notte.


Non conosco una supplica più toccante di questa nella Parola di Dio, eppure triste è la risposta della sposa:

Io mi sono tolta la gonna; come me la rimetterei ancora?
Mi sono lavata i piedi; come li sporcherei ancora?


Quanto è tristemente possibile dilettarsi in conferenze e convegni, banchettare di tutte le buone cose che ci sono messe davanti, e non essere pronti a lasciarli per salvare i perduti con abnegazione; consolarsi nel riposo della fede mentre non si combatte il buon combattimento della fede; essere soddisfatti della liberazione e della purificazione avuta mediante la fede, ma avere poco tempo per le povere anime che soffrono nella melma del peccato. Se possiamo toglierci gli abiti quando dovremmo tenerli indosso, e se possiamo lavarci i piedi mentre Egli è solo sulle montagne alla ricerca dei perduti, non c’è forse una triste mancanza di comunione con il nostro Signore?
Non avendo risposta dalla sposa,

L’amico mio ha passato la mano per la finestra,
Il mio amore si è agitato per lui.


Ma, ahimè, la porta non era solo chiusa a chiave, ma sbarrata; e i Suoi sforzi per entrare furono vani.

Mi sono alzata per aprire al mio amico,
E le mie mani hanno stillato mirra,
Le mie dita mirra liquida,
Sulla maniglia della serratura.
Ho aperto all’amico mio,
Ma l’amico mio si era ritirato, era partito.
Ero fuori di me mentr’egli parlava;


Quando, ma troppo tardi, la sposa si alza, sembra essere stata più preoccupata a ungersi con la mirra che a correre a dare il benvenuto al Suo Signore che la aspettava; più occupata con la sua stessa bellezza che con i Suoi desideri. Non vengono pronunciate parole di benvenuto, sebbene il suo cuore viene meno dentro di lei; e lo Sposo addolorato si era ritirato prima che ella fosse pronta a riceverLo. Di nuovo (come nel terzo capitolo) ella va alla ricerca del suo Signore; e questa volta la sua esperienza è molto più dolorosa che nella precedente occasione.

L’ho cercato, ma non l’ho trovato;
L’ho chiamato, ma non mi ha risposto.
Le guardie che vanno attorno per la città mi hanno incontrata,
Mi hanno battuta, mi hanno ferita;
Le guardie delle mura mi hanno strappato il velo.

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20/01/2012 18:01

La sua prima ricaduta era stata per inesperienza; se una seconda caduta fosse stata provocata da una svista, ella sarebbe stata per lo meno pronta e disposta quando era stata richiamata. Non è una cosa da poco cadere nell’abitudine di essere lenti all’obbedienza, anche nel caso di un credente: nel caso degli increduli il risultato della disobbedienza è inesprimibilmente terribile:

Volgetevi alla Mia riprensione;
Ecco, Io verserò il Mio Spirito su di voi
e vi farò conoscere le Mie parole.
Poiché ho chiamato e voi avete rifiutato,
ho steso la Mia mano e nessuno vi ha fatto attenzione . . .
Anch’Io riderò della vostra sventura . . .
Allora essi grideranno a Me, ma Io non risponderò;
Mi cercheranno con premura, ma non Mi troveranno.

(Proverbi 1:23-28).


Il traviamento della sposa, sebbene doloroso, non era definitivo; poiché esso fu seguito da un sincero ravvedimento. Ella andò nel buio a cercarLo; chiamò, ma Egli non rispose, e le guardie, trovatala, l’hanno battuta e ferita. Essi sembrano aver compreso la gravità delle sue inclinazioni meglio di quanto ella stessa abbia fatto. I credenti possono essere accecati dalle loro incoerenze; altri, comunque, le notano; e più alta è la loro posizione agli occhi del nostro Signore, maggiore è la certezza che all’errore segua il rimprovero.
Ferita, disonorata, avendo fallito la sua ricerca, e quasi nella disperazione, la sposa si rivolge alle figlie di Gerusalemme; e narrando loro la storia delle sue sofferenze, le scongiura di dire al suo Amato che ella non è infedele o disattenta verso di Lui.

Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio amico,
Che gli direte? Che sono malata d’amore.


La risposta delle figlie di Gerusalemme mostra molto chiaramente che la sposa afflitta, vagante nell’oscurità, non viene riconosciuta come la sposa del Re, sebbene la sua bellezza venga comunque notata.

Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico,
O la più bella fra le donne?
Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico,
Che così ci scongiuri?

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20/01/2012 18:01

Queste domande, insinuando che il suo Amato non fosse diverso da chiunque altro, scuotono la sua anima fin dalle fondamenta; e, dimenticando se stessa, ella riversa dalla pienezza del suo cuore un’estasiante descrizione della gloria e della bellezza del suo Signore.

L’amico mio è bianco e vermiglio,
e si distingue fra diecimila.

(vedere versi 5:10-16, che si concludono con i seguenti)

Il suo palato è tutto dolcezza,
tutta la sua persona è un incanto.
Tal è l'amore mio, tal è l’amico mio,
o figlie di Gerusalemme.


È interessante confrontare la descrizione che la sposa dà dello Sposo con la descrizione dell’“Antico di Giorni” in Daniele 7:9-10, e del nostro Signore risorto in Apocalisse 1:13-16. Le differenze sono molto caratteristiche.
In Daniele 7 vediamo l’Antico di Giorni seduto sul trono del giudizio; la Sua veste è bianca come la neve, e i capelli del Suo capo sono come lana pura; il Suo trono e le ruote del trono erano un fuoco ardente, e un fiume di fuoco scorreva e scendeva dalla Sua presenza. Il Figlio dell’Uomo fu fatto avvicinare a Lui, e ricevette da Lui il dominio, e la gloria, e un Regno eterno che non sarà mai distrutto. In Apocalisse 1 vediamo il Figlio dell’Uomo stesso, vestito con una veste lunga fino ai piedi, e la cui testa e i cui capelli erano “bianchi come lana candida, come neve”; ma la sposa vede il suo Sposo in tutto il vigore della Sua giovinezza, “i Suoi riccioli sono crespi, neri come il corvo”. Gli occhi del Salvatore risorto sono descritti come “fiamma di fuoco”, ma la Sua sposa li vede come “come colombe presso ruscelli d’acqua”. In Apocalisse “la Sua voce era come il fragore di grandi acque . . . e dalla Sua bocca usciva una spada a due tagli”. Per la sposa, “le Sue labbra sono gigli, che stillano mirra liquida”, e “la Sua bocca è la dolcezza stessa”. L’aspetto del Salvatore risorto è “come il sole quando risplende in tutta la sua forza”, e l’effetto della visione su Giovanni (“Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto”) non fu diverso da quello della visione data a Saulo - poi chiamato Paolo - quando si avvicinava a Damasco (cfr. Atti 9:3 e seg.). Ma per la Sua sposa “il Suo aspetto è come il Libano, maestoso come i cedri”. Il Leone della tribù di Giuda è per la Sua sposa il Re d’amore; e, con tutto il cuore e a volto scoperto, ella descrive la Sua bellezza in tal maniera che le figlie di Gerusalemme sono prese da un forte desiderio di cercarLo con lei, affinché anch’esse possano contemplare la Sua bellezza.

Dov’è andato il tuo amico,
O la più bella fra le donne?
Quale direzione ha preso l’amico tuo?
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20/01/2012 18:02

La sposa risponde:

Noi lo cercheremo con te.
Il mio amico è sceso nel suo giardino,
Nelle aie degli aromi,
A pascolare le greggi nei giardini
E cogliere gigli.


Nonostante appaia disperata e abbattuta, ella sa di essere ancora l’oggetto del Suo affetto, e Lo reclama come suo. L’espressione che segue, “io sono dell’amico mio; e l’amico mio, che pascola il gregge tra i gigli, è mio”, è simile a quella trovata nel secondo capitolo: “il mio amico è mio, e io sono sua”; eppure la differenza è notevole. Un tempo il suo primo pensiero di Cristo era reclamarLo come suo; ora questo è secondario. Ora ella pensa dapprima al Suo diritto; e solo in seguito menziona il proprio. Vediamo un ulteriore sviluppo della grazia nel capitolo 7, verso 10, dove la sposa, perdendo di vista completamente il proprio diritto, dice:

Io sono del mio diletto,
E il suo desiderio è verso di me.

(verso 7:10, N.D.)


Non prima che ella abbia pronunciato queste parole ed essersi riconosciuta come diritto del Suo sposo - un diritto che in pratica ha ripudiato quando ha sbarrato la sua porta - appare lo Sposo. E senza parole di rimprovero, ma con l’amore più tenero, le dice quanto è bella ai Suoi occhi, e parla di lei encomiandola davanti alle figlie di Gerusalemme. Egli le dice:

Amica mia, tu sei bella come Tirza [la bellissima città di Samaria],
Leggiadra come Gerusalemme [la gloriosa città del grande Re],
Tremenda [o piuttosto, brillante] come un esercito a bandiere spiegate.
Distogli da me i tuoi occhi, che mi turbano.

(vedere versi 4-7)


Quindi, rivolgendosi alle figlie di Gerusalemme, Egli esclama:

Ci sono sessanta regine, ottanta concubine,
E fanciulle innumerevoli;
Ma la mia colomba, la perfetta mia, è unica;
È l’unica di sua madre,
La prescelta di colei che l’ha partorita.
Le fanciulle la vedono e la proclamano beata;
La vedono pure le regine e le concubine e la lodano.
Chi è colei che appare come l’alba,
Bella come la luna, pura come il sole,
Tremenda come un esercito a bandiere spiegate?


Così questa parte si conclude con la comunione pienamente ristorata; la sposa riabilitata e apertamente riconosciuta dallo Sposo come Sua incomparabile compagna e amica. La dolorosa esperienza attraverso cui ella è passata è stata carica di beni durevoli, e non abbiamo altre indicazioni di una comunione interrotta, anzi, seguono solo gioia e fruttuosità.
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20/01/2012 18:02

PARTE 5



I FRUTTI DELLA COMUNIONE RICONOSCIUTA

Cantico dei Cantici 6:2 - 8:4



Nella seconda e nella quarta parte di questo libretto abbiamo visto infranta la comunione della sposa; nel primo caso, a causa della caduta nella mondanità, e nel secondo a causa della pigrizia e della soddisfazione di sé. Questa parte invece, come la terza, riguarda la comunione ininterrotta. Essa si apre con le parole della sposa:

Io sono discesa nel giardino dei noci
A vedere le piante verdi della valle,
A vedere se le viti mettevano le gemme,
Se i melagrani erano in fiore.
Non so come, ma il mio desiderio
Mi ha posta sui carri del mio nobile popolo.


Come nel principio della terza parte, la sposa, in comunione ininterrotta con il suo Signore, era presente, sebbene non menzionata fino a quando non ha reso evidente la sua presenza rivolgendosi alle figlie di Sion; così, in questa parte la presenza del Signore non viene notata fino a quando Egli stesso si rivolge alla Sua sposa. Ma ella è uno con il suo Signore mentre è impegnata nel Suo servizio! La Sua promessa, “Io sono con voi tutti i giorni”, è sempre adempiuta verso di lei; ed Egli non deve più supplicarla di alzarsi e venire via; o dirle che il suo capo “è coperto di rugiada” e le sue chiome “sono piene di gocce della notte”; o dirle che se Lo ama deve occuparsi dei Suoi agnelli e delle Sue pecore. Ella stessa è il Suo giardino, e non dimentica di prendersene cura con attenzione, né bada alle vigne degli altri trascurando di badare alla propria. Con Lui come pure per Lui, ella scende nel giardino dei noci. Tanto profonda è l’unione tra di essi, che molti commentatori hanno trovato difficoltoso decidere se a parlare fosse la sposa o lo Sposo, e in realtà si tratta di una questione di poca importanza; poiché, come abbiamo detto, entrambi erano lì, e un’anima sola. Eppure crediamo di essere nel giusto attribuendo queste parole alla sposa, dato che a lei si rivolgono le figlie di Gerusalemme, ed è lei quella che risponde loro.
La sposa e lo Sposo appaiono essere stati trovati dal loro popolo nella dolce comunione del servizio, e la sposa si trova seduta sui carri del suo popolo - il popolo suo oltre che del suo Sposo.
Le figlie di Gerusalemme la richiamano indietro:

Torna, torna, o Sulamita,
Torna, torna, che ti ammiriamo.


Non è un mistero chi ella sia, né perché il suo Amato valga più di qualunque altro amato; Egli è riconosciuto come il re Salomone, e ad ella è dato lo stesso nome, ma nella forma femminile (Sulamita).
Nelle parole “torna, torna”, alcuni hanno visto un’indicazione del rapimento della Chiesa; e con essi spiegano parti del contesto seguente, che però appare incoerente con questa interpretazione, come congettura anziché progressione. Sebbene questa interpretazione sia interessante, in quanto potrebbe spiegare l’assenza di riferimenti al Re nei versi precedenti, noi non la riteniamo valida; preferiamo guardare all’intero cantico come a una progressione, e ne paragoniamo le parole finali con le parole con cui si conclude il libro dell’Apocalisse: “Sì, vengo presto. Amen. Vieni, Signore Gesù” (Apocalisse 22:20). Dunque interpretiamo l’allontanamento della sposa dal giardino come soltanto temporaneo.

La sposa risponde alle figlie di Gerusalemme:

Perché ammirate la Sulamita?

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20/01/2012 18:02

o, come è scritto nella versione Nuova Diodati:

Che cosa vedete nella Sulamita?


Nella presenza del Re, ella non riesce a capire il motivo per cui qualcuno debba rivolgere la propria attenzione a lei. Come Mosè, il quale stette alla presenza di Dio, e quando scese dal monte non sapeva che il suo volto risplendeva di una gloria divina (cfr. Esodo 34:29), così accade qui alla sposa. E noi possiamo imparare questa importantissima lezione: quelli che non hanno veduto la bellezza del Signore, non mancheranno di ammirare la Sua bellezza riflessa nella Sua sposa. Lo sguardo rapito delle figlie di Gerusalemme sorprende la sposa, che dice: cosa vedete in me, che sono la sposa, sebbene indegna, del glorioso Re? State forse guardando “una danza a due schiere?” (cioè la danza di Mahanaim, fatta da due schiere delle donne più belle di Israele).
Le figlie di Gerusalemme non hanno alcuna difficoltà a rispondere alla sua domanda, e a riconoscerla come di nascita reale: “O figlia di Principe!”; e descrivono nel linguaggio orientale la sua magnifica bellezza: dai piedi alla testa in lei vedono solo bellezza e perfezione (versi 7:2-6). Che contrasto con il suo stato naturale! Un tempo “dalla pianta del piede fino alla testa” non vi era altro che “ferite, lividure e piaghe aperte” (Isaia 1:6); ma ora i suoi piedi “calzati con la prontezza dell’Evangelo della pace” (Efesini 6:15), e i capelli stessi del suo capo la proclamano una Nazirea: il “Re è incatenato dalle tue trecce!” (Cantico 7:6).
Ma Qualcuno risponde, più a lei che alle figlie di Gerusalemme, a quella sua domanda: “che cosa vedete nella Sulamita?”. Lo Sposo stesso risponde:

Quanto sei bella, quanto sei piacevole,
Amore mio, in mezzo alle delizie!


Egli vede in lei la bellezza e la fruttuosità delle alte palme, della vite graziosa, del melo fragrante (versi 7:8-9). La grazia l’ha resa come la palma, che è l’emblema della rettitudine e della fertilità. Il frutto della palma da datteri è considerato migliore del pane dai viaggiatori orientali, tanto è grande il suo potere nutritivo; e la forza che genera quel frutto nell’albero non svanisce: anzi, con il passar degli anni, il frutto diventa ancora più perfetto e più abbondante.

Il giusto fiorirà come la palma,
Crescerà come il cedro del Libano.
Quelli che son piantati nella casa del Signore
Fioriranno nei cortili del nostro Dio.
Porteranno ancora frutto nella vecchiaia;
Saranno pieni di vigore e verdeggianti

(Salmo 92:12-14)
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20/01/2012 18:03

Ma per quale motivo il giusto è stato reso così saldo e rigoglioso?

Per annunziare che il Signore è giusto;
Egli è la mia Rocca, e non v’è ingiustizia in Lui.

(verso 92:15)


Uno con il nostro Signore, Egli è nostro per mostrare la Sua grazia e la Sua virtù, per far rispecchiare in noi la Sua bellezza, per farci essere i Suoi fedeli testimoni.
La palma è anche l’emblema della vittoria; essa innalza la sua magnifica corona verso i cieli, senza timore del calore del sole soffocante, o dei venti cocenti del deserto. Per la sua bellezza era uno degli ornamenti di Salomone, e del Tempio veduto da Ezechiele. Quando il nostro Salvatore fu ricevuto a Gerusalemme come Re di Israele, la gente prese dei rami di palme e Gli andò incontro (cfr. Giovanni 12:13); e nel glorioso giorno del Suo matrimonio, “una folla immensa che nessuno [può] contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, [starà] in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano”; e attribuiranno a Dio e a Cristo la loro salvezza, gridando: “La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello” (Apocalisse 7:9-10).
Ma se la sposa assomiglia alla palma, ella assomiglia anche alla vite. Ha grandemente bisogno delle cure di suo Marito, e le ricambia con amore. Dimorando in Cristo, la vera sorgente della fruttuosità, ella produce “grappoli d’uva”, deliziosi e rinfrescanti, ma anche rinvigorenti, come il frutto della palma - e dunque deliziosi e rinfrescanti per Lui, il proprietario della vigna, come pure per il mondo stanco e assetato in cui Egli l’ha posta.
La vite ci dà delle lezioni suggestive: essa necessita e cerca supporto; il coltello affilato del potatore spesso elimina impietosamente le sue tenere ghirlande, e sciupa il suo bell’aspetto, ma ne aumenta la fruttuosità. È stato meravigliosamente scritto:

La Vite vivente, Cristo ha scelto per Sé:
Dio l’ha data all’uomo per farne uso e sostenersi
Grano, vino, e olio, ciascuno di questi è buono:
E Cristo è il Pane della vita e la Luce della vita.
Eppure, Egli non ha scelto il grano estivo,
Che spunta diritto e libero crescendo rapidamente,
E che ha il suo momento, ma finisce, e non spunta più
Né l’ulivo, i cui tanti rami si aprono
Nell’aria dolce, e non perde mai una foglia,
Fiorendo e fruttificando in perpetuo;
Ma solo questa, per Lui e a Lui appartiene:
Quella eterna, sempre fertile Vite,
Che dà il calore e la passione al mondo,
Attraverso la sua linfa vitale, rinnovata e versata.
* * * * * * *
Da ogni tralcio vivente della Vite cola vino;
È forse più povera per quello che ha versato?
L’ubriaco e l’impudico ne bevono;
Sono essi più ricchi per quel dono ricevuto?
Misura la tua vita con la perdita anziché il guadagno;
Non per quanto hai bevuto ma per quanto hai sparso;
Poiché la forza dell’amore consisté nel sacrificio d’amore;
E colui che più soffre, ha più da offrire.

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20/01/2012 18:03

Ma una figura è maggiormente utilizzata dallo Sposo: “il profumo del tuo fiato, [è] come quello delle mele”. Nella prima parte la sposa esclama:

Qual è un melo tra gli alberi del bosco,
Tal è l’amico mio fra i giovani.
Io desidero sedermi alla sua ombra,
Il suo frutto è dolce al mio palato.


Qui troviamo il risultato di quella comunione. Il melo di cui si è nutrita ha profumato il suo fiato, e le ha impartito il suo odore. Lo Sposo conclude la Sua descrizione:

La tua bocca [è] come un vino generoso
Che scende dolcemente
Per il mio diletto,
Sfiorando delicatamente le labbra di chi dorme.


Quanto è meravigliosa la grazia che ha fatto si che la sposa di Cristo fosse tutto per il suo Amato! Retta come la palma, vittoriosa e perennemente fruttuosa mentre si avvicina al cielo; tenera e gentile come la Vite, noncurante di sé ed altruista, non meramente per portare frutto nonostante le avversità, ma per portare il suo frutto migliore attraverso di esse; godendo del suo Amato, mentre riposa alla Sua ombra, e partecipando alla Sua fragranza; cosa non ha fatto per lei la grazia! E quale dev’essere la sua gioia nel vedere, ancor più pienamente, la soddisfazione del glorioso Sposo verso quell’umile fiore selvatico che Egli ha preso come Sua sposa, e che ha reso splendido con la Sua grazia e virtù!

Io sono del mio amico,
Verso me va il suo desiderio


ella esclama con gioia. Ora non c’è nulla solo di sé o per sé, ma tutto è di Te e per Te. E se questi sono i dolci frutti che si ottengono andando nel giardino dei noci, e curando il Suo giardino con Lui, non sarà necessario forzarla perché ella continui in questo servizio benedetto.

Vieni, amico mio, usciamo ai campi,
Passiamo la notte nei villaggi!

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20/01/2012 18:03

Ella non si vergogna delle sue umili origini, poiché non teme vergogna: l’amore perfetto ha cacciato via la paura (cfr. 1 Giovanni 4:18). Lo stato reale del Re, con i suoi fasti e il suo splendore, può essere goduto momento per momento; ogni ora è più dolce con Lui al suo fianco per rendere prospero il giardino; per darGli ogni sorta di frutti preziosi, nuovi e vecchi, che ella ha conservato per Lui; e meglio ancora, per soddisfarlo con l’amore che porta per Lui. Non solo è felice di questa comunione nel servizio, ma desidererebbe volentieri che non ci fossero onori o doveri a distrarre la Sua attenzione e riducendo per qualche momento la gioia della Sua presenza.

Oh, perché non sei tu come un mio fratello,
Allattato dal seno di mia madre!
Trovandoti fuori, ti bacerei
E nessuno mi disprezzerebbe.


Ella vorrebbe potersi curare di Lui, e avere la Sua completa attenzione, come una sorella può prendersi cura di suo fratello. È profondamente consapevole del fatto che Egli le ha elargito grandi ricchezze, e che lei non è nulla in confronto a Lui; ma invece di esaltarsi con orgoglio per quello che è riuscita a fare grazie di Lui, ella vorrebbe, se fosse possibile, poter essere lei a donare e Lui a ricevere. Ben lontano è quel pensiero maldisposto, che deve così straziare il cuore del nostro Signore: “Non penso che Dio mi chieda di fare questo”; oppure, “Devo proprio abbandonare questa cosa, per poter essere un Cristiano?”. La vera devozione preferisce chiedere che le sia consentito dare, e reputa una perdita tutte le cose che non possono essere date per il Signore: “Ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Filippesi 3:8).
Questo desiderio ardente di essere di più per Lui, comunque, non acceca la coscienza della sposa impedendole di vedere che ha bisogno della Sua guida, e che Egli solo è il Suo vero Maestro.

Ti condurrei, t’introdurrei in casa di mia madre;
Tu m’istruiresti
E io ti darei da bere vino aromatico,
Succo del mio melagrano.


Io Ti darei il meglio di quello che ho, eppure cercherei ancora tutto il mio riposo e la mia soddisfazione in Te.

La sua sinistra sia sotto il mio capo
E la sua destra mi abbracci!

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20/01/2012 18:03

E così si conclude questa parte. Non c’è nulla di più dolce per lo Sposo o per la sposa, di questa comunione consacrata e non ostacolata; ed Egli, di nuovo, scongiura le figlie di Gerusalemme, dicendo:

Figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro,
Non svegliate, non svegliate l’amor mio,
Finché lei non lo desideri!


Una comunione davvero consacrata! Che noi possiamo sempre goderne; e dimorando in Cristo, canteremo, con le parole familiari del noto inno:

Le Tue braccia sono strette intorno a me,
E il mio capo è sul Tuo seno;
E la mia anima esausta Ti ha trovato
Quale perfetto, perfetto riposo!
Benedetto Gesù,
Ora io so che son benedetto.

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20/01/2012 18:04

PARTE 6



COMUNIONE SENZA LIMITI

Cantico dei Cantici 8:5 - 8:14



Abbiamo raggiunto la parte conclusiva del libro, il quale, come abbiamo visto, è un poema che descrive la vita del credente sulla terra. La prima parte (Cantico dei Cantici 1:2-2:7) inizia con la vita insoddisfatta della sposa - il cui desidero può essere soddisfatto solo arrendendosi senza riserve allo Sposo dell’anima sua, cioè a Cristo - e vediamo che quando ella si arrende, invece di trovare la croce che tanto temeva, trova un Re, il Re d’amore, che soddisfa i suoi desideri più profondi, e trova soddisfazione in lei.
La seconda parte (capitolo 2:8-3:5) mostra un fallimento da parte sua; ella è stata riattratta nel mondo, e ben presto vede che il suo Amato non può seguirla laggiù; allora, con pieno convincimento di cuore va a cercarLo, confessando il Suo nome, e così la sua ricerca ha successo, e la sua comunione viene ristorata.
La terza parte (capitolo 3:6-5:1) parla della comunione ininterrotta. Dimorando in Cristo, ella condivide la Sua sicurezza e la Sua gloria. Ella, comunque, attira l’attenzione delle figlie di Gerusalemme dalle cose materiali al suo Re. E, mentre è così occupata con Lui, desiderando che anche altri lo siano come lo è lei, scopre che il suo reale Sposo si compiace in lei, e la invita a gioire della comunione nel servizio, senza temere le spelonche dei leoni e i monti dei leopardi.
La quarta sezione (capitolo 5:2-6:10), comunque, mostra di nuovo un fallimento; non si tratta di nuovo di una caduta a causa della mondanità, ma piuttosto di orgoglio spirituale e pigrizia. La ristorazione ora è molto più difficile; ma ella va diligentemente in cerca del suo Signore, e Lo confessa, attraendo altri a cercarLo insieme a lei, ed Egli si rivela e la comunione è ristorata, per non essere mai più interrotta.
La quinta sezione (capitolo 6:2-8:4), come abbiamo visto, descrive non solo la reciproca soddisfazione e la gioia che la sposa e lo Sposo provano insieme, ma il riconoscimento della posizione della sposa e della sua bellezza da parte delle figlie di Gerusalemme.
E ora, nella sesta parte (capitolo 8:5-8:14) giungiamo alla scena conclusiva del libro. In essa, vediamo la sposa appoggiarsi al suo Amato, e chiederGli di stringerla ancor più fermamente a sé, e affaccendarsi nella Sua Vigna, fino al giorno in cui Egli la chiamerà via dal suo servizio terreno. A questa ultima parte volgeremo maggiormente la nostra attenzione.

Essa si apre, come la terza, con una domanda o esclamazione delle figlie di Gerusalemme. Prima esse chiedevano: “Chi è colei che sale dal deserto, simile a colonne di fumo...”, ma la loro attenzione era rivolta solo allo sfarzo e allo stato del Re, quindi non alla Sua persona, né alla Sua sposa. Esse erano attratte dalla felice posizione della sposa in relazione al suo Amato, e non da quello che li circondava.

Chi è colei che sale dal deserto
Appoggiata all’amico suo?
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20/01/2012 18:04

È attraverso la sposa che la loro attenzione si sposta sullo Sposo; la loro unione e comunione sono ora aperti e manifesti. Per l’ultima volta viene menzionato il deserto; ma, dolcemente consolata dalla presenza dello Sposo, non v’è alcun deserto nell’animo della sposa. Con tutta la confidanza dell’amore fiducioso ella si appoggia al suo Amato. Egli è la sua forza, la sua gioia, il suo orgoglio, e il suo premio; mentre ella è il Suo tesoro particolare, l’oggetto delle Sue cure più tenere. Tutti i tesori della Sua saggezza e potenza le appartengono; quando ella lavora è a riposo, attraverso il deserto continua ad essere soddisfatta, mentre si appoggia sul suo Amato.

Meravigliose sono le rivelazioni della grazia e dell’amore al cuore, che lo Spirito Santo ci insegna attraverso la relazione tra la sposa e lo Sposo, il Cristo di Dio è più che un comune Sposo per il Suo popolo. Egli, che quando era in terra poté dire: “Prima che Abrahamo fosse nato, Io sono” (Giovanni 8:58), qui reclama la Sua sposa fin dal giorno della sua nascita, e non solo da quello del loro matrimonio. Già da prima ella Lo conosceva, ed Egli la conosceva; ed Egli glielo ricorda nelle parole:

Io ti ho svegliata sotto il melo,
Dove tua madre ti ha partorito.


Egli trova piacere nella sua bellezza, ma non è tanto quella la causa, quanto l’effetto del Suo amore; poiché Egli l’ha presa quando non aveva bellezza. L’amore che l’ha resa quello che è diventata, e che ora prende piacere in lei, non è un amore incostante, né ella deve temere che possa cambiare.
Con gioia la sposa comprende la verità, cioè che ella appartiene a Lui, ed esclama:

Mettimi come un sigillo sul tuo cuore,
Come un sigillo sul tuo braccio;
Perché l’amore è forte come la morte,
La gelosia [amore ardente] è dura [trattiene] come lo Sceol;
I suoi ardori sono ardori di fuoco,
Fiamma dell’Eterno.

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20/01/2012 18:04

Il Sommo Sacerdote portava i nomi delle dodici tribù di Israele sul suo cuore; ogni nome era inciso come sigillo nella costosa e indistruttibile pietra scelta da Dio; ogni sigillo o pietra era incastonata nell’oro più puro; allo stesso modo, Egli portò gli stessi nomi sulle sue spalle, indicando che l’amore e la forza del Sommo Sacerdote erano a garanzia delle tribù di Israele. Lo Sposo è per la sposa il Suo Profeta, Sacerdote, e Re, poiché “l’amore è forte come la morte”. Non che ella dubiti della costanza del suo Amato, ma ha constatato, ahimè!, l’incostanza del proprio cuore; e così desidera di essere legata al cuore e al braccio del suo Amato con catene e sigilli d’oro, con l’emblema della divinità. Perciò il Salmista pregava: “legate la vittima della solennità e portatela ai corni dell’altare” (Salmo 118:27).
Possiamo dire che è facile portare il sacrificio all’altare che santifica l’offerta, ma serve la coercizione divina - le corde dell’amore - perché esso rimanga lì. Così, qui la sposa si dispone e si fissa sul cuore e sul braccio di Colui che d’ora in poi per lei è “tutto in tutti”, cosicché ella può per sempre aver fiducia solo in quell’amore, ed essere sostenuta solo per quella forza.
Non abbiamo tutti bisogno di imparare una lezione da questo? E di pregare di essere preservati dal tornare (parlando per simboli) a cercare aiuto in Egitto, confidando in carri e cavalli, e sperando nei prìncipi, nei figli degli uomini, anziché nell’Iddio vivente? Come i Re di Israele, che avevano vinto grandi battaglie per fede, ma a volte andavano proprio da quelle nazioni pagane anni più tardi! Il Signore preservi il Suo popolo da questa trappola.

La sposa continua: “I suoi ardori sono ardori di fuoco, fiamma dell’Eterno” (versione Luzzi). È bene notare che questa è l’unica occasione in cui è menzionato il nome “Eterno”. Ma come ometterlo qui? Poiché l’amore è di Dio, e Dio è amore.
Alla sua richiesta, lo Sposo risponde con parole rassicuranti:

Le grandi acque non potrebbero spegnere l’amore,
I fiumi non potrebbero sommergerlo.
Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell’amore,
Sarebbe del tutto disprezzato.
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20/01/2012 18:05

L’amore che la grazia ha portato nel cuore della sposa è in sé stesso divino e persistente; le grandi acque non potrebbero spegnerlo, né potrebbero i fiumi sommergerlo. Sofferenza e dolore, lutto e privazione possono mettere alla prova la sua costanza, ma non lo spegneranno. La sua sorgente non è umana o naturale; come fuoco, è nascosto con Cristo in Dio. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà l’afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? . . . Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati. Infatti io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né potenze, né cose presenti, né cose future, né altezze, né profondità, né alcun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:35-39). Il nostro amore verso Dio è reso sicuro dall’amore di Dio per noi. Per l’anima davvero salvata per grazia, nessun tentativo di farle abbandonare l’amore di Dio avrà successo. “Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell’amore, sarebbe del tutto disprezzato”.
Liberata dall’ansietà sulla propria perfetta fedeltà, la sposa felice chiede poi guida, e comunione nel servizio con il suo Signore, verso coloro che non hanno ancora raggiunto la sua posizione.

Noi abbiamo una piccola sorella,
Che non ha ancora mammelle;
Che cosa faremo per la nostra sorella,
Nel giorno in cui si parlerà di lei?


Quanto appare meravigliosamente l’unione della sposa con lo Sposo in queste espressioni. “Abbiamo una piccola sorella”, non “io ho...”; e ancora: “che cosa faremo...”. Ella non ha più relazioni private o interessi privati; in tutte le cose è una con Lui. E vediamo un ulteriore sviluppo della grazia nella domanda stessa. Verso la conclusione dell’ultima parte ella riconosce lo Sposo come suo Maestro. Ella non decide per conto proprio sul da farsi per la sorella, ma chiede il Suo consenso; apprenderà così quali sono i Suoi pensieri, e avrà comunione con Lui nei Suoi piani.

Quante ansietà e preoccupazioni si risparmierebbero i figli di Dio se imparassero ad agire in questo modo! Non è vero forse che spesso cerchiamo di prendere le migliori decisioni possibili, di realizzarle nel modo migliore, sentendo il grande peso della responsabilità del servizio, e chiedendo sinceramente a Dio di aiutarci? Ma se Egli sarà sempre il nostro Maestro nel servizio, e lasceremo a Lui la responsabilità, la nostra forza non verrà meno per le preoccupazioni e le ansietà, ma sarebbe tutto a Sua disposizione, per adempiere i Suoi scopi.

Nella “piccola sorella”, ancora immatura, non vediamo forse gli eletti di Dio, dati a Cristo da Dio Padre, quando non sono ancora in quella relazione salvifica con Lui? E forse anche quei “bambini” in Cristo che devono ancora essere alimentati con latte anziché con cibo solido (cfr. 1 Corinzi 3:1 e seg.), ma che, cresciuti con cura, diverranno credenti con esperienza, adatti al servizio per il Signore? Allora essi saranno chiamati al servizio per cui il Signore li ha preparati.

Lo Sposo risponde:

Se è un muro,
Costruiremo su di lei una torretta d’argento;
Se è un uscio,
La chiuderemo con una tavola di cedro.

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20/01/2012 18:05

In questa risposta lo Sposo riconosce con dolcezza la Sua unità con la Sua sposa, nello stesso modo in cui ella aveva dimostrato di essere cosciente della sua unità con Lui. Quando ella chiede: “Che cosa faremo per la nostra sorella?”, Egli risponde: “Noi costruiremo. . . chiuderemo. . .”, cioè non eseguirà i Suoi piani di grazia noncurante della Sua sposa, ma opererà con e per mezzo di lei. Cosa può essere fatto per questa sorella, comunque, dipende da quello che diventerà. Se “un muro”, cioè salda sul vero fondamento, forte e stabile, ella sarà adornata e bella con finimenti d’argento; ma se sarà instabile e smossa facilmente come “una porta”, questo trattamento non sarà possibile, né adatto; dovrà essere chiusa con “tavole di cedro”, circondata con vincoli, per la sua protezione.
La sposa, rallegrandosi, risponde: “io sono un muro”, ella conosce il fondamento sul quale è edificata, non ci sono “se” nel suo caso: ella è consapevole di aver trovato favore agli occhi del suo Amato. La benedizione di Neftali è sua: il favore dello Sposo è su di Lei, “io sono stata ai Suoi occhi come chi ha trovato pace”.
Ma cosa impariamo dalla relazione di questa felice consapevolezza con i versi che seguono?

Salomone aveva una vigna a Baal-Amon;
Egli affidò la vigna a dei guardiani,
Ognuno dei quali portava, come frutto, mille sicli d’argento.
La mia vigna, che è mia, sta davanti a me.
Tu, Salomone, tieni per te i tuoi mille sicli,
E ne abbiano duecento quelli che guardano il frutto della tua!


Si tratta di una relazione di grande importanza, che ci insegna che ciò che la sposa era (per grazia) ha più importanza di quello che aveva fatto; e che ella non operò per guadagnare il favore, ma anzi, essendole stato garantito il favore, mette tutto il suo amore nel servizio. La sposa conosce la sua relazione che la lega al suo Signore, e il Suo amore per lei; e nel dirGli di tenere per sé i sicli d’argento, la sua preoccupazione è che la sua vigna non produca meno frutto per il Re rispetto a quanto produce l’altra Sua vigna di Baal-Amon; la vigna della sposa è ella stessa, e desiderava portare per il suo Signore molto frutto. Ella vede, inoltre, che i guardiani della vigna, i suoi compagni di lavoro nei campi, che ministrano la parola e la dottrina, sono ben ripagati; ella non mette la museruola al bue che trebbia il grano; una decima piena, anzi doppia, era la porzione di coloro che avevano i frutti e lavoravano nella vigna insieme a lei.

Non sappiamo quanto a lungo sia durato questo felice servizio, e quando si sia concluso; soltanto Colui che chiama i Suoi servitori a lavorare nei giardini, e a coltivarli per Lui - come Adamo fu posto nel paradiso di Dio - conosce il termine di questo servizio. Presto o tardi il riposo verrà, il peso e il calore dell’ultimo giorno saranno svaniti, l’ultimo conflitto finirà, e la voce dello Sposo sarà udita rivolgersi alla Sua amata:

Tu che abiti nei giardini,
I compagni stanno attenti alla tua voce!
Fammela udire!
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20/01/2012 18:05

Il tuo servizio tra i tuoi compagni è finito; hai combattuto il buon combattimento, hai serbato la fede, hai finito la tua corsa (cfr. 2 Timoteo 4:7); ora ti è riservata la corona della giustizia, e lo Sposo stesso sarà la tua straordinaria ricompensa!
Ben può la sposa farGli udire la sua voce mentre, correndo a incontrarLo, grida:

Fa’ presto, mio diletto
E sii simile a una gazzella o a un cerbiatto,
Sui monti degli aromi!


Ella non Gli chiede più, come nella seconda parte:

Torna, amico mio, come la gazzella o il cerbiatto
Sui monti di Bether [cioè, della separazione]


La sposa non hai più desiderato il Suo allontanamento, poiché non ci sono monti di Bether per coloro che dimorano in Cristo; ora sono i monti degli aromi. Colui che abita nelle lodi di Israele che si innalzano, come il profumo dell’incenso, dal cuore del Suo popolo, è invitato dalla Sua sposa a far presto, a venire con rapidità, ed essere come una gazzella o un cerbiatto sui monti degli aromi.
Molto dolce è la presenza del nostro Signore, che per il Suo Spirito abita nel Suo popolo, mentre Lo serviamo quaggiù; ma sul sentiero molte sono le spine a cui dobbiamo fare attenzione; ed è bene che soffriamo ora con il nostro Signore, affinché possiamo anche essere glorificati insieme a Lui. Si avvicina, comunque, il giorno in cui Egli ci porterà con sé nei giardini celesti del palazzo del grande Re. Lì, i figli di Dio “non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” (Apocalisse 7:16-17).

Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! . . .
Sì, vengo presto!
Amen; vieni, Signore Gesù!

(Apocalisse 22:17-20)

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20/01/2012 18:06

APPENDICE

Le Figlie di Gerusalemme



Una domanda posta di frequente è: chi rappresentano le figlie di Gerusalemme?

Esse certamente non sono la sposa, eppure non sono tanto lontane da lei. Esse sanno in che luogo lo Sposo conduce il Suo gregge per farlo riposare la notte; ad esse Egli si rivolge per chiedere loro di non svegliare la Sua amata durante il suo riposo, mentre dimora in Lui; esse spostano la loro attenzione sullo Sposo quando Egli appare con dignità e gloria dal deserto; i loro doni d’amore adornano il Suo carro; la sposa chiede aiuto a loro per trovare il suo Amato, e, toccate dalla descrizione della bellezza dello Sposo, esse la aiutano nella ricerca; esse descrivono appieno la bellezza della sposa, ma, d’altra parte, non le troviamo mai impegnate con la persona dello Sposo; Egli non è “tutto in tutti” in loro; esse badano alle cose esteriori e carnali.
Non rappresentano dunque coloro che, se non salvati, sono molto vicini ad esserlo? O, se salvati, sono solo quasi salvati? Che si preoccupano al presente più delle cose di questo mondo che delle cose di Dio? Curare i propri interessi, assicurare il proprio benessere, gli importa di più che piacere a Dio in ogni cosa. Essi forse potranno far parte di quella moltitudine di cui si parla in Apocalisse 7:9-17, che viene dalla grande tribolazione, ma non faranno parte dei centoquarantaquattromila (le “primizie a Dio e all’Agnello”, cfr. Apocalisse 14:1-5), poiché hanno dimenticato l’avvertimento del nostro Signore in Luca 21:34-36; e dunque non sono “ritenuti degni di scampare a tutte queste cose che stanno per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Essi non hanno, come Paolo, ritenuto “che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù” (Filippesi 3:8), e dunque essi non giungono a partecipare a quella risurrezione, che Paolo temeva di poter perdere, ma pure cercava di prepararsi per essa.

Desidero far conoscere a tutti la nostra solenne convinzione che non tutti coloro che sono Cristiani, o pensano di essere tali, saranno in grado di giungere alla risurrezione di cui Paolo parla in Filippesi 3:10, o incontreranno il Signore nell’aria. Ma a coloro le cui vite di consacrazione manifestano che essi non sono del mondo, ma sono in attesa del Suo ritorno, apparirà senza peccato, per la loro salvezza (Ebrei 9:28).

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