Il cattolicesimo romano e il Sessantotto intrattengono una relazione complicata, specialmente dall’elezione di Benedetto XVI in poi. Ma affermare, come si è fatto negli ultimi giorni, che la chiesa americana «dà la colpa al Sessantotto» per gli abusi sessuali commessi dal clero è una forzatura ideologica che fa torto all’equilibrio del documento. Pubblicato il 18 maggio, il rapporto delude entrambi i partiti, liberal e conservatore, e offre una spiegazione complessa per il fenomeno tragico del sex abuse crisis, che fu scoperchiato dalla stampa americana nel 2001. Il lungo rapporto (152 pagine, con 481 note di citazioni scientifiche) è intitolato Le cause e il contesto degli abusi sessuali sui minori da parte di preti cattolici negli USA (1950-2010) (disponibile su
www.usccb.org/mr/causes-and-context.shtml).
Curato dal
John Jay College of Criminal Justice della City University of New York e finanziato in parte dalla chiesa cattolica e in parte dal National Institute of Justice del ministero della giustizia, è un rapporto scritto da studiosi (tra cui una docente universitaria, collega e vicina di ufficio dello scrivente, Katharina Schuth): è un rapporto non pubblicato dalla chiesa, ma rivolto alla chiesa, che studia il fenomeno e invia raccomandazioni alla chiesa.
È il più completo e sistematico studio sugli abusi sessuali nella chiesa, e mette in crisi alcuni miti ben consolidati. Il primo dei miti è che i “preti predatori” (oltre seimila sono stati accusati negli ultimi 50 anni) fossero pedofili: il rapporto afferma che i preti che hanno commesso abusi non erano “preti pedofili”, ma preti che abusarono di minori solo per la facilità dell’accesso a minori di sesso maschile nella loro pratica pastorale.
In altri termini, secondo il rapporto solo una piccola parte dei colpevoli era “specializzata” nell’abuso dei minori, mentre la grande maggioranza era composta da “predatori generalisti”, ovvero non sceglieva le vittime per genere o per età.
In secondo luogo, la ricerca afferma che non vi sono prove per affermare che i preti gay erano più inclini agli abusi di quanto non lo fossero i preti non gay: in verità, all’entrata nei seminari di più omosessuali, a partire dagli anni Settanta, ha corrisposto un calo nel numero degli abusi. In terzo luogo, non c’è alcuna connessione dimostrabile tra abusi sessuali commessi dal clero e obbligo del celibato, se si guarda alle statistiche degli abusi commessi da uomini sposati.
Ma il rapporto indica anche che una migliore preparazione del clero al celibato fu all’origine del calo nel numero degli abusi a partire dagli anni Ottanta. Quanto al Sessantotto, il rapporto vede una connessione tra la preparazione antiquata del clero formato negli anni Quaranta e Cinquanta e l’inadeguatezza dei preti a comprendere le rivoluzioni culturali (tra cui la rivoluzione sessuale) degli anni Sessanta e Settanta.
Il rapporto riconosce il problema dell’isolamento istituzionale che ha portato a coprire gli abusi, e delinea un parallelo con i casi di abusi da parte della polizia (ampiamente documentati negli Stati Uniti): stress, isolamento, e mancanza di controlli sono fattori che aumentano i “comportamenti devianti”.