| | | OFFLINE | Post: 227 | Città: RAVENNA | Età: 51 | Sesso: Maschile | |
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08/07/2011 18:25 | |
aiuta anche il presbitero a vagliare evangelicamente ciò che egli arriva a chiamare, magari in maniera affrettata, come fallimento o insuccesso. E questo soprattutto quando si tratta di esperienze e progetti pastorali. Il presbitero vive a volte l'esperienza di insuccessi pastorali in modo talmente personalizzato da cadere in stati depressivi. Se si fa coincidere personalità e lavoro pastorale, realizzazione di sé e ruolo, allora un insuccesso (che va messo realisticamente in conto) può condurre a una profonda crisi e disarticolazione personale. Se il presbitero vive la sua funzione pubblica, il suo ruolo, come prolungamento della sua personalità, allora gli eventuali fallimenti pastorali vengono ingigantiti e trasmutano in senso di fallimento personale, perdita di autostima, tentazione di abbandono. Dall'aver fallito qualcosa si trapassa indebitamente al senso di fallimento totale di sé. C'è il rischio di far dipendere tutto da sé e di divenire una cassa di risonanza narcisistica che registra sul proprio conto successi e insuccessi. Ora, la preghiera, memoria quotidiana dell' essenziale evangelico, ricorda anche al presbitero che le crisi, gli insuccessi, le persecuzioni e le contraddizioni, fanno parte della promessa di Cristo a chi lo segue con radicalità: «Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna». (87)
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