CONVERSIONE
Il prete, la donna e il confessionale
Storia raccontata dal pastore Chiniquy (1)
Vi sono due donne le quali sono estremamente degne della compassione dei discepoli di Gesù Cristo, e per le quali si dovrebbe incessantemente pregare: la bramina delle Indie, la quale ingannata dai suoi preti si slancia sul rogo, ove riposa il corpo di suo marito, e si lascia bruciar viva per disarmar la collera del suo dio di legno; e la donna del cattolicismo romano, la quale non meno ingannata dai suoi preti, soffre nel confessionale torture più atroci di quelle del fuoco, per placar lo sdegno dal suo dio di pasta.
Poiché, non esito a dirlo, per un gran numero di donne ben nate ed educate, il palesare ad un uomo i più segreti pensieri, i misteri più sacri dell’anima, le azioni più compromettenti della vita, tutto questo è supplizio più ignominioso ed atroce di quel che sia lasciarsi bruciare viva.
Più volte delle donne sono svenute nel mio confessionale, e più tardi mi han confessato, che il dover dire ad un uomo non ammogliato cose, sulle quali le leggi del pudore non permettono di aprir bocca, era stato per loro una pena insopportabile e mortale. Cento e mille volte mi è avvenuto di raccogliere dalle labbra di una morente queste desolanti parole: Io sono perduta! Tutte le mie confessioni e comunioni sono nulle e sacrileghe, giacchè non ho mai saputo esattamente rispondere alle domande dei miei confessori: una ripugnanza funesta mi ha tenuta chiusa la bocca, ed ha perduta l’anima mia!
Più volte sono rimasto quasi pietrificato di terrore vicino ad un cadavere, allorchè subito dopo pronunziate queste parole dalla morente, la falce della morte troncava lo stame di quella vita, ed io non aveva tempo di darle l’assoluzione. Credeva anch’io allora, come la moribonda, che senz’assoluzione non potesse essere salvata.
Pur si contano migliaia di giovanette e di donne di carattere nobile ed elevato, le quali per un ingenito sentimento di pudore son rese invulnerabili contro tutti i sofismi, e tutte le seducenti parole dei loro confessori. Non mai queste risponderanno con un sì a certe insidiose domande che loro son rivolte nel confessionale. Preferirebbero esser gittate sulle fiamme e morire sul rogo con la vedova indiana, anziché permettere allo sguardo d’un uomo di penetrare nel santuario della loro coscienza. Anche talvolta sentendosi colpevoli di cose, sulle quali sono interrogate, ed anche convinte che il loro peccato non può essere perdonato se non ne fanno confessione, pur son più potenti in esse le leggi del pudore che le esigenze della loro perfida Chiesa. Nessun riguardo, neppure il timore di essere per sempre perdute le indurrà mai a dire ad un uomo peccatore cose che solo Dio deve sapere, poiché Egli solo può tutto lavare col sangue del suo Figliuolo sparso sulla croce.
E chi potrà mai dire le torture segrete e le angoscie di queste anime nobili che Roma tien così incatenate? Leggono in tutti i libri, odono in tutti i sermoni che, nascondendo un sol peccato al confessore, son per sempre perdute: ma, giacchè non posson calpestare le sante leggi della modestia, le quali vietano che si parli di certe cose all’orecchio di chiunque, e meno ancora all’orecchio di un prete, menan triste la vita in un continuo terrore del giudizio di Dio.