Per la prima volta Giacobbe si trova solo di fronte alla resa dei conti. Egli é solo con la sua paura e le ricchezze accumulate in maniera così spregiudicata non bastano a risolvere i suoi problemi.
La situazione di Giacobbe é facilmente paragonabile a quella dell'uomo dei nostri giorni, all'umanità odierna che procede ciecamente e senza scrupoli pur di conseguire la sicurezza, l'agiatezza, la ricchezza e così facendo calpesta ogni principio morale. Questa umanità sembra andare avanti e progredire, ma il suo é soltanto un progredire illusorio.
Di fronte ad alcuni fatti clamorosi l'umanità si accorge che il progresso tecnologico ed economico non bastano più a risolvere i numerosi problemi creati dal suo spregiudicato modo di procedere. Ha paura ed allora cerca protezione e sicurezza nella religione e nelle varie pratiche esoteriche e spirituali che abbondano nei nostri giorni.
La religione, però, intesa in questo senso, come rifugio liberatorio delle proprie paure o come alibi delle proprie malefatte, non può dargli né pace né sicurezza.
Questo avviene naturalmente per l'umanità presa nel suo insieme, ma anche é soprattutto a livello individuale. Ognuno di noi preso singolarmente non può sempre procedere in maniera cieca e sconsiderata, ma deve prima o poi avere questo incontro-scontro con Dio per dare alla propria vita una nuova prospettiva.
A questo punto si colloca la lotta di Giacobbe con Dio. L'unica via per ricostruire un'autentica prospettiva di vita é quella di affrontare un rapporto diretto con Dio. E' fare i conti con Dio. Porsi seriamente il problema di Dio. Non si tratta della lotta con la nostra coscienza o con gli spettri che svaniscono alle prime luci dell'alba. Tutte queste cose sono soltanto degli espedienti che ci permettono in qualche modo di trovare un accomodamento provvisorio, ma che non risolvono alla base i nostri problemi. Non si tratta infatti di mendicare da Dio qualche favore nei momenti di crisi.
Nel racconto c'é un Dio che accetta di scontrarsi con noi anche duramente. Un Dio che si confronta fino in fondo con questa umanità presuntuosa, che si ritiene padrona del mondo, che fa sì anche delle cose meravigliose, ma che nella sua vanità rischia di autodistruggersi in pochi istanti.
Questo é l'incontro di un essere vivente con degli esseri viventi. Una lotta senza esclusione di colpi. Giacobbe non cerca più scorciatoie e deve fare conoscere il suo nome, cioè svelare fino in fondo i suoi progetti e le sue trame.
Dio, a sua volta, si sottrae alla presa di Giacobbe e non cede ai suoi raggiri religiosi rivelando il suo nome. Ma nello stesso si espone fino in fondo ed un giorno lo farà fino alla morte in croce del suo Figliuolo Gesù Cristo.
Nella lotta Giacobbe riceve quattro cose:
1) La slogatura dell'articolazione del femore. L'arroganza del "prendo tutto quello che voglio" ne esce fiaccata. Giacobbe deve prendere atto dei suoi limiti umani, dei confini entro i quali é lecito condurre le sue imprese. Adamo ed Eva che pensavano di diventare come Dio, quando aprono gli occhi non si ritrovano uguali a Dio, ma caduti in una vita sconvolta, turbata perfino interiormente.
2) Giacobbe riceve un nuovo nome. Giacobbe, l'imbroglione, diventa Israele, colui che lotta con Dio e dà il nome ad un nuovo popolo. La sua personalità é come sfigurata. Egli riceve una nuova identità, una nuova vocazione, una nuova prospettiva che é quella della promessa di Dio.
3) Giacobbe riceve la benedizione. La benedizione di Dio nella Bibbia é la rigenerazione della fede e della vocazione del singolo credente, la riqualificazione del popolo di Dio.
4) Infine Giacobbe riceve in dono il fratello. Giacobbe infatti si aspettava che Esaù si vendicasse dell'offesa ricevuta. Invece si legge più avanti al cap. 33 v. 4 «Esaù gli corse incontro, l'abbracciò, gli si gettò al collo, e lo baciò; e piansero». Giacobbe non ha più bisogno di difendersi dal fratello, di comprare con dei regali la sua amicizia. E' il dono di Dio.
A questo punto ci si potrebbe chiedere: Chi esce vincitore dalla lotta fra Dio e Giacobbe? Certamente il vincitore qui é Giacobbe, ma non perché egli ancora una volta riesca a carpire con l'inganno la benedizione, non perché la sua astuzia e la sua arroganza finiscano ancora una volta per prevalere, ma perché la grazia di Dio lo ha raggiunto e lo ha cambiato, ha interrotto i suoi piani folli e suicidi, lo ha benedetto e lo ha collocato in una nuova prospettiva di vita e di speranza.
E' vincitore quindi chi é vinto dalla grazia di Dio perché partecipa alla sua promessa. Come dice l'apostolo Paolo in Romani 8, 37: «In tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati».
Un semplice episodio dell'Antico Testamento, incomprensibile ed anche un pò strano e paradossale ci può oggi offrire lo spunto per una riflessione sulla potenza di Dio e del suo piano per redimere l'umanità. Non dobbiamo quindi fondare i nostri progetti e le nostre speranze per il futuro sul richiamo ingannevole di un mondo che passa, ma su un realistico e diretto confronto con Dio e la Sua Parola, in quanto soltanto questa Parola può liberarci dalla condanna di uomini peccatori.
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Peniel: Faccia di Dio (Genesi 32, 30)