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La seconda chiamata

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2011 18:29
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L'ETÀ ADULTA E LA SECONDA CHIAMATA

Renato Corti (7)

Nella lettera pastorale A immagine di Cristo (8) ho scritto che l'attenzione premurosa a garantire respiro alla nostra vita comprende anche l'impegno a fare i conti con il tempo che passa e con le varie età che - di anno in anno, di decennio in decennio - si attraversano. Il tempo ci mette alla prova e anche noi sacerdoti, come tutti, siamo chiamati ad affrontarlo - dagli anni della giovinezza a quelli dell'età

adulta, a quelli della terza età - dando unità alla nostra esistenza in un cammino di fedeltà.
Parto da una domanda: che succede, col passare degli anni, nella vita personale di noi preti? Quale esperienza va compiendosi dentro di noi? È giusto porsi questi interrogativi perché possono verificarsi in noi delle modificazioni non superficiali che occorre considerare, dato che possono indicare dei passi urgenti e importanti da compiere per maturare come uomini e come preti.

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***

Sappiamo che la prima risposta alla vocazione può essere difficile; spesso, però, non lo è nemmeno molto. Lo è invece quasi sempre la risposta che va data alla vocazione nel tempo in cui essa viene visibilizzata con l'esercizio del ministero. Voillaume ha parlato di una seconda chiamata, che non è propriamente un'altra rispetto alla prima, ma è il ritrovamento della prima e unica vocazione a un livello di maturità maggiore, passando attraverso il crogiuolo di molte vicende distese sugli anni spesi in missione.
Del fatto che la nostra vita di preti si caratterizzi come travaglio non ci dobbiamo scandalizzare, dato che anche gli uomini di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento lo hanno conosciuto (penso ad Elia, a Geremia, a Pietro, a Paolo) in forme e in misure tutt' altro che trascurabili. Si tratta di un cammino che può vedere meravigliose evoluzioni e tremende involuzioni. Perciò «ogni sacerdote, a cominciare dai preti giovani, deve rimanere molto vigilante per non illudersi vanamente sul proprio futuro e sulla fecondità del proprio ministero. Nel contesto attuale, poi, se la vita di ogni cristiano è insidiata, lo è pure - in certa misura - anche quella del prete: il mondo (e soprattutto il nemico dell'uomo, che è Satana) sa bene che se si neutralizza il prete, il resto diventa più agevole e che, al contrario, la presenza di un prete santo diventa un sicuro ostacolo al regno delle tenebre.
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Ringrazio per altro il Signore per il clero che ha dato, fin qui, alla nostra Diocesi. Molti dei nostri sacerdoti mi sono di continua edificazione e vengono riconosciuti dal nostro popolo (che intuisce facilmente dove sta un prete autentico) come uomini secondo il Vangelo ripieni di amore a Gesù Cristo. E però, la mia preghiera di ogni giorno contiene l'intenzione già presente nella preghiera di Gesù nell'ultima cena: "Che nessuno si perda!" (Gv 18, 9)». (9) Ma non è solo questione di non perdersi; si tratta di far nostro il respiro dei santi e di farlo, in particolare, negli anni e decenni della vita adulta disponendoci, con tutti i profeti e gli apostoli, a una graduale purificazione e a una crescita reale.

***

Vorrei affrontare il tema invitandovi soprattutto a confrontarvi con due maestri dell' educazione umana e di quella propriamente spirituale: Romano Guardini e René Voillaume. Essi ci offrono due approcci tra loro diversi e complementari:
- il primo, di tipo antropologico, ci viene suggerito da Guardini nel suo saggio Le età della vita; (10)
- il secondo, di tipo più propriamente spirituale, ci viene offerto da Voillaume in un testo di meditazione per i Piccoli Fratelli del Vangelo sul tema della "seconda chiamata". (11)

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L'età adulta. Un approccio antropologico

In Guardini è presente e finemente sviluppato un discorso antropologico sulla vita adulta e le sue crisi e il loro possibile superamento. Egli parla dell'uomo e intende rivolgersi a ogni uomo, anche al non credente. Nel suo testo non si ritrova nessuna citazione biblica, non si fanno espliciti ragionamenti teologici. Si fa della fenomenologia e della pedagogia, cui soggiace un'antropologia aperta al trascendente - all'eterno - e capace quindi di dare fondamento e spessore a un'etica. Non vi è nulla, di quanto Guardini illustra, che non possa dirsi del cristiano; anzi, il cristiano è forse colui che può ricevere maggior frutto dalle sue analisi e dalle sue proposte pedagogiche. Vediamo dunque da vicino come Guardini sviluppa la sua riflessione.

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L'adulto: chi è?

Anzitutto egli si domanda chi è l'adulto e risponde con tre osservazioni. La prima verte sul processo che dà origine alla condizione adulta (tra i venti e i quaranta anni circa): «All'origine dell'età adulta sta il processo attraverso il quale l'uomo si è ben radicato nella sua persona e nel suo carattere, e si è pienamente inserito nella realtà che lo circonda; egli prende coscienza di che cosa significa "saper stare in piedi da solo", ed è deciso a metterlo in pratica». (12)
Le parole di Guardini (lo dico per tutte le citazioni che farò) sono molto sobrie e perciò vanno attentamente ripensate a una a una. Mi sembra stimolante il suo modo di parlare del divenire adulti come di un processo, di una lenta trasmutazione che interessa tutto quel che ciascuno di noi è. Trovo importante i due segni che indicano con sicurezza che il divenire adulti si fa realtà concreta: il radicarsi nella propria persona, al punto di saper stare in piedi da soli, e il crescente inserimento nella realtà circostante. Ciò vuol dire avere un baricentro che permette di reggere bene anche nel vento o nella tempesta e s'accompagna a un'interpretazione non solipsistica del proprio crescere e irrobustirsi, bensì aperta alla condizione storica e sociale dell'itinerario personale.

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La seconda osservazione riguarda una categoria molto significativa per la vita dell'uomo, e cioè il carattere. Egli dice: «A questo punto si sviluppa ciò che si chiama carattere, cioè la stabilità interiore della persona, che non èrigidità e neppure sclerosi dei punti di vista e degli atteggiamenti; ma consiste piuttosto nella connessione delle facoltà attive del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio centro spirituale». (13)
Con queste parole siamo aiutati a vigilare per evitare un equivoco sempre incombente: quello di ritenere che quando, dall' adolescenza o dalla giovinezza, si entra nella tappa della vita adulta, si compie in noi qualcosa di simile a quanto avviene nei processi chimici quando, a causa della temperatura o di altri fattori, si consolida una nuova condizione di un determinato composto. Talvolta, con linguaggio semplificato, si dice che, una volta diventati adulti, ciascuno di noi è quello che è. Questo modo di pensare, per quanto contenga qualche aspetto di verità,
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è fuorviante perché dispone ad accettare la rigidità come condizione normale, facendo dimenticare che la caratteristica qualificante dell'adulto è da riconoscere in un dinamismo, non in una staticità; anzi, in un equilibrio dinamico che trova nel proprio centro spirituale una stabilità e trova il suo dinamismo nell'interconnessione delle facoltà superiori (con tutta la mobilità e le stimolazioni di ogni giorno) con questo centro. Quando questo dinamismo è riconoscibile, la persona è viva e il carattere si plasma.
La terza osservazione lo conduce a mettere in evidenza alcuni valori che emergono in modo particolare. Nota infatti che «determinati valori assumono allora una particolare importanza: la coscienziosità nell'adempiere agli impegni assunti; l'attenersi alla parola data; la fedeltà nei confronti di chi ci dà fiducia; l'onore come senso infallibile di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto, di quello che è nobile e di quello che è volgare; la capacità di distinguere tra quanto è autentico e quanto è falso nelle parole, nei comportamenti, nel lavoro e nelle cose. È il periodo nel quale si scopre il senso della durata. Essa denota ciò che, nel fluire del tempo, ha affinità con l'eterno: è ciò che costruisce, consolida, sostiene ed è costante.
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In questo periodo l'uomo scopre che cosa voglia dire istituire, difendere, creare una tradizione. Egli scopre quanta sterilità e miseria vi siano nell'abbandonare di continuo la linea d'azione fissata in precedenza, per ricominciare di nuovo da capo». (14)
I lineamenti del volto adulto qui ricordati andrebbero riconsiderati ad uno ad uno. È difficile sfuggire all'impressione, alimentata da ciò che viene detto e mostrato ogni giorno dai mass media, che le indicazioni di Guardini siano molto lontane dal quadro di vita che caratterizza la nostra società. La logica dell'attimo fuggente non si concilia per nulla con la fedeltà e il senso della durata. D'altra parte, come negare l'importanza, per la vita familiare e la convivenza sociale, del senso di responsabilità nei confronti degli altri, della fedeltà alla parola data, della capacità di distinguere ciò che è autentico da ciò che è falso, della volontà di creare una tradizione e non soltanto castelli di sabbia?
Sorge spontanea un'altra domanda: l'atmosfera che i giovani respirano li aiuta a diventare adulti o, tendenzialmente, glielo impedisce?
E una domanda ancora: come non ammettere che, soprattutto nel ministero di un prete, la mancanza di continuità nella linea di azione prelude alla delusione di chi, dopo anni e anni, deve constatare che nel campo non è germinato nulla?
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Il tempo della vita adulta: è quello del vigore, ma conosce una sua crisi

Le osservazioni fatte fin qui sono, in certo senso, preliminari al tema specifico di questa nostra riflessione che vorrebbe prendere in considerazione il passaggio critico che tutti dobbiamo attraversare per diventare adulti. Il momento critico è paradossalmente segnato dalla percezione delle proprie possibilità e contemporaneamente dei propri limiti.
L'età adulta si identifica anzitutto con «la fase del pieno vigore, sostenuta dalla consapevolezza che sono autentiche soltanto la connessione dell'idea riconosciuta come vera con la realtà colta nel modo corretto, e la sintesi tra le idee assolutizzate e la consapevolezza della complessità, dell'instabilità e della miseria della condizione umana. Da un punto di vista fisiologico, tale fase rappresenta il periodo nel quale lo slancio della gioventù si attenua e tuttavia si fa, al contempo, più profondo e più risoluto. È pure il tempo nel quale le forze creative di natura intellettuale e vitale fluiscono nel modo più immediato. Questo è anche il periodo nel quale l'uomo è più preparato ad accollarsi oneri, a esigere molto dal proprio lavoro, a dedicare tempo ed energie nella propria opera senza risparmio». (15)

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Pieno vigore è dunque avere delle idee, e nello stesso tempo essere consapevoli che la realtà da affrontare ogni giorno è complessa e che la condizione della vita umana non è mai troppo riconducibile a schemi precostituiti.
Pieno vigore è energia, anche in senso psico-fisico, che prende la forma di una calma risolutezza nel portare avanti i propri impegni. Di vigore si può parlare anche a proposito dell' energia intellettuale e del suo esprimersi con una facilità e ricchezza non sperimentata, nella stessa misura, durante l'età della crescita. Pieno vigore è non avere paura di prendersi degli impegni, e anzi desiderarli come luogo concreto che consente di esprimere quel che si è e si vorrebbe essere.
Pure questa indicazione, come le precedenti, solleva degli interrogativi: in una cultura di massa si favorisce il senso della complessità? Non si è invece esposti a indebite semplificazioni? Non vi è dunque da richiamarsi costantemente alla necessità di leggere attentamente avvenimenti e proposte e di usufruire di tempi e strumenti favorevoli a questo risultato?
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E ancora, vi sarebbe da riflettere sulla condizione di molti giovani che arrivano alla soglia dei trent'anni senza avere ancora un lavoro: come non tener conto che la disoccupazione, oltre a provocare altri guai, rende difficile che un giovane diventi adulto? E come non giudicare una fortuna, da parte di un giovane che diventa prete, il fatto di potersi immergere in vere responsabilità, per di più connesse con il cammino delle persone e non solo la produzione di cose?
La fase della vita adulta non è però solo quella in cui si tocca con mano di avere delle possibilità, ma anche quella nella quale emergono i propri limiti. Questa scoperta sembra incrinare un quadro che appariva solido e annuncia gradualmente che l'età adulta può conoscere momenti di crisi anche molto dura. Guardini illustra le varie cause di questa crisi. Eccone qualche esempio.
Le prime che egli elenca stanno a dire che si può andare in crisi con se stessi, per una nuova e più severa lettura che si fa di sé.
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Scoperta dei propri limiti.

«Ma in seguito subentra la crisi che consiste nella sensazione sempre più netta dei limiti delle proprie energie. L'uomo constata per esperienza che ci può essere un eccesso di lavoro, di lotta, di responsabilità. Si accumula il carico di lavoro, s'intensificano sempre più le esigenze, e dietro ciascuna di queste ne affiorano continuamente di nuove, e non se ne vede la fine». (16)

Emergere di qualche stanchezza.

«Mentre prima era viva la coscienza delle proprie risorse, delle proprie energie, della propria iniziativa e della propria creatività, ora si fa strada il senso del limite. Compare l'esperienza della stanchezza: si sente che "sta diventando troppo", che si vorrebbe riposare, che si comincia a intaccare il capitale, e ciò si avverte specialmente nei momenti in cui il lavoro si accumula eccessivamente, le esigenze si ingigantiscono e le difficoltà appaiono insormontabili». (17)

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Svanire di molte illusioni.

«Svaniscono le illusioni, e non solo quelle che costituiscono l'essenza stessa della gioventù, ma anche quelle che derivano dal fatto che in tale periodo la vita conserva ancora il carattere della novità, di ciò che non è stato ancora sperimentato». (18) Le varie sfaccettature del fenomeno conducono Guardini a dare spazio alle cause delle crisi che vengono identificate negli altri, con l'esperienza di aprire gli occhi sulla realtà così come è, e non come noi ce la immaginavamo.

Dalla novità alla routine.

«Fino a questo momento la serietà, la risolutezza, la responsabilità di fondare, costruire, lottare, hanno diretto la coscienza. Ora tutto ciò perde la sua freschezza e la sua novità. A poco a poco si ha coscienza di come gli uomini si comportano, di come nascono i conflitti, di come un'opera ha inizio, si sviluppa e si compie, di come evolve un rapporto umano, di come una gioia nasce e si dilegua. L'esistenza assume le caratteristiche della realtà già nota. L'uomo sente di conoscerla a menadito. Questo, ovviamente, non è del tutto esatto. Tuttavia la routine si avverte dappertutto». (19)

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08/07/2011 18:08

Svelamento della miseria dell'esistenza.

«Si ricevono delusioni da parte di coloro nei quali si riponeva speranza. La generalità delle persone manifesta un'apatia e un'indifferenza, anzi una malevolenza di cui prima non ci si rendeva ancora conto. Si riesce a vedere dietro le quinte e si nota che le cose sono molto più miserabili di quanto si fosse pensato». (20)

La crisi e le alternative di fronte alle quali ci si trova

Le percezioni e le constatazioni fin qui elencate diventano, nella vita dell' adulto, la preparazione di un tempo di crisi che andrà inevitabilmente affrontata. L'avverbio "inevitabilmente" è giusto perché non è possibile ritenere buono un atteggiamento che potremmo dire "neutrale". Ci troviamo dinanzi a una difficile alternativa.

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08/07/2011 18:09

La prima è quella che ci conduce a essere scettici, o falsamente ottimisti o in fuga nell'attivismo: «Questo disincanto e disillusione, questa conoscenza della meschinità dell'esistenza prende il sopravvento, e l'uomo diventa scettico e sprezzante, e si riduce a fare meccanicamente il minimo necessario, proprio perché vi è costretto, dato che deve vivere; e forse si ostinerà in un ottimismo forzato, non sentito nel profondo di se stesso; accumulerà lavoro su lavoro; sarà affaccendato in mille cose...». (21) È evidente che una scelta di questo genere copre di nubi il presente e il futuro. Tutto quello che si farà o si dirà non avrà il colore smagliante dell' azzurro di una giornata di sole; avrà piuttosto quello di una grigia giornata d'autunno.
Ma si può fare un'altra scelta chiaramente positiva e coraggiosamente costruttiva che Guardini illustra sia per lo sguardo che ciascuno di noi può recuperare su se stesso, sia per l'atteggiamento da assumere nei confronti delle figure di umanità con le quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno.
Quanto al primo aspetto sembra molto importante a Guardini scoprire l'ancoramento antropologico dell'impegno di ciascuno di noi: si tratta della «riaffermazione della vita che viene dalla serietà e dalla fedeltà e che genera un sentimento nuovo del valore dell'esistenza». (22)
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08/07/2011 18:09

Tutto questo avviene, a differenza di quanto poteva caratterizzare l'adolescenza o la giovinezza, mentre si è ormai acquisita «una lucida consapevolezza della realtà. Tale figura è caratterizzata dal fatto che l'uomo vede e accetta ciò che si chiama limite, cioè le insufficienze e le miserie dell'esistenza umana». (23)
Questo atteggiamento potrebbe essere equivocato e va dunque attentamente spiegato. La figura dell'uomo ora evocata non cambia, per sopravvivere, l'identità delle cose «non viene a definire l'ingiustizia, il male e la volgarità come aspetti del bene; neppure dichiara ricchezza ciò che è povertà, o verità ciò che è apparenza, o compito ciò che è vuoto. Tutto questo è percepito, ma è "accettato" nel senso che le cose stanno così e che bisogna farsene una ragione». (24)
Nel medesimo tempo cerca di intervenire sulla realtà, guidato dal senso di responsabilità e dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana. «Egli non smette di lavorare, continuando anzi fedelmente le opere intraprese; ricomincia sempre daccapo i suoi tentativi di dare ordine e di aiutare, perché è conscio che le azioni umane, in apparenza vane, danno origine ad impulsi, che, dispiegandosi autonomamente, conservano l'esistenza umana, peraltro così profondamente minacciata». (25)
Guardini non si nasconde che «questo atteggiamento esige molta disciplina e molta rinuncia: un coraggio che non ha tanto il carattere dell'audacia, quanto quello della risolutezza». (26)
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08/07/2011 18:09

Credo che andrebbero meditati questi due termini: audacia e risolutezza. È più importante la seconda che non la prima, soprattutto perché la prima può far pensare a qualcosa di eccezionale o di irrazionale, mentre la seconda conduce a considerare ciò che è feriale e viene consapevolmente affrontato. Mi chiedo se non andrebbe maggiormente approfondita e coltivata la virtù della risolutezza, che richiama la virtù cardinale della fortezza.

***

La conclusione di Guardini è un elogio delle persone diventate "adulte". È su di loro infatti «che l'esistenza può fare affidamento. Proprio perché non hanno più l'illusione del grande successo e delle brillanti vittorie, essi sono capaci di compiere opere che hanno valore e durano nel tempo. Questa dovrebbe essere la natura dell'autentico statista, del medico, dell'educatore, in tutte le sue forme». (27)
E aggiunge, come nota finale, che «è lecito giudicare il livello umano, così come le prospettive culturali di un'epoca, considerando sia il numero degli uomini di tale levatura che vivono in quel periodo, sia l'ampiezza dell'influsso da essi esercitato». (28)
Come non domandarsi che cosa sta avvenendo in quest'epoca e in questa società? E come non interrogarsi anche sulla nostra azione formativa nei confronti dei giovani: li stiamo conducendo verso l'età adulta? E come non interrogarci su noi stessi, dato che possiamo essere compresi nella categoria indicata da Guardini con il termine "educatori"?

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La seconda chiamata. Un approccio teologico-spirituale

La riflessione di Voillaume ha come tema la «fedeltà al Signore ed alla sua chiamata, nelle grandi e nelle piccole cose, nel mezzo del cammino percorso nella vita religiosa, così come ai suoi inizi». (29) Il colloquio che viene svolto con i Piccoli Fratelli del Vangelo è direttamente ispirato dalla fede cristiana e da un' esperienza umana nella quale Dio, il Dio cristiano, si è affacciato e ne è diventato il centro reale con la "vocazione" a una vita totalmente dedicata a lui e al suo Regno in quella forma di vita che viene chiamata "vita consacrata". Vita consacrata significa camminare sui sentieri dei consigli evangelici di povertà, ubbidienza, castità; significa vera immersione nel mistero di Dio con l'esperienza della preghiera; significa disponibilità a vivere la carità fino a seguire Gesù sul Calvario. Per omogeneità (non totale) il testo di Voillaume può applicarsi anche alla vita sacerdotale, che presenta una fenomenologia in parte propria.

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08/07/2011 18:09

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Mi sono chiesto da quale motivazione Voillaume è stato spinto a rivolgere ai suoi "fratelli" una comunicazione su questo preciso tema. Egli stesso dà la risposta: constata che, in una Fraternità nata circa venticinque anni prima, è avvertibile un rischio. Lo esprime così: «Il rischio della durata per noi, come per ogni impresa umana, è quello di una certa usura dell'ideale perseguito e dello sforzo fatto per realizzarlo, usura che ci porterebbe ad accontentarci della mediocrità nella santità». (30) Aggiunge un'osservazione che non ci deve sfuggire: «Con il passare del tempo e con la maturità dell'età sorge la tentazione di un compromesso tra le esigenze soprannaturali dell'amore del Signore e quelle della nostra personalità di uomini adulti». (31) Bisogna dunque chiarire a se stessi che la risposta piena a Dio non è semplicemente un sogno irrazionale della giovinezza, ma che può essere la determinazione più profonda di chi ormai sta percorrendo la tappa della vita pienamente adulta.

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08/07/2011 18:10

Il rischio ora indicato non è dunque di poco conto. Quando emerge siamo chiamati a mettere a fuoco aspetti decisivi della nostra vita di fede e di vita consacrata: si tratta di «effettuare un'ultima volta la scelta tra Gesù e il mondo, tra l'eroicità della carità e la mediocrità, tra la croce e un certo benessere, tra la santità e una onesta fedeltà all'impegno religioso». (32) Queste alternative rilevantissime riguardano evidentemente anzitutto la responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti di se stesso, del dono ricevuto da Dio e della risposta che si intende rinnovare a lui. Ma Voillaume aggiunge un'osservazione che pure mi sembra preziosa: «Anche la comunità stessa della Fraternità arriva alla medesima maturità». (33) Pure per il presbiterio noi potremmo dire - oltre che per il singolo sacerdote, il cammino nel tempo può significare decadenza e può essere risposta coraggiosa e piena, e ciò lo si può cogliere da mille particolari, da uno stile diffuso, da giudizi positivi o negativi che si colgono tra la gente di fede, tra coloro che stanno vivendo grandi sofferenze, da chi è in ricerca di Dio.
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