IN SPIRITO E VERITA'

GESU' E' SPIRITO E I VERI CRISTIANI
LO ADORANO IN SPIRITO E VERITA'
 
 
 

La seconda chiamata

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2011 18:29
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08/07/2011 18:10

Mi impressiona il fatto che, a proposito di una Fraternità che noi siamo abituati a pensare come luogo di straordinaria dedizione a Dio, come appunto quella dei Piccoli Fratelli, Voillaume confessa di essere invece angosciato perché teme che non si affronti bene la prova inevitabile del tempo della maturità. Dice: «Di fronte alla grandezza dell'opera che Gesù vorrebbe realizzare attraverso i suoi Piccoli Fratelli sono forse io il solo ad aver avvertito questo pericolo di cedimento e questa angoscia nel constatare ciò che noi facciamo in concreto delle esigenze della sua chiamata a seguirlo attraverso il mondo?». (34)
Questo interrogativo mi colpisce perché è dettato non tanto dal pessimismo quanto da uno sguardo penetrante ai doni di Dio e ai sentieri sui quali egli ci ha condotti. Perciò lo faccio mio e lo indico - senza pessimismo e conoscendo per via diretta molte meravigliose testimonianze di santità sacerdotali presenti nelle varie diocesi - alla nostra coscienza sacerdotale perché leggiamo con verità la nostra esperienza di cristiani e di preti e impariamo «a superare generosamente le tappe successive della crescita del Cristo in noi», (35) dato che questo cammino «è altrettanto importante quanto l'aver cominciato bene lasciando tutto per seguire Gesù al momento della prima chiamata. Questa perseveranza è essenziale perché non serve a niente cominciare se non si va fino in fondo. (...)
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Quando si parte per fare qualcosa - diceva Charles de Foucauld -, non si deve tornare senza averla fatta". Il tutto non è di abbandonare la barca e le reti per seguire Gesù durante un certo tempo, ma piuttosto di andare sino al Calvario, di accoglierne la lezione ed il frutto, e di andare con l'aiuto dello Spirito Santo sino alla fine di una vita che deve terminare nella perfezione della divina Carità». (36)

***

All'osservazione fatta fin qui vorrei aggiungerne un'altra, prima di lasciare emergere le tappe spirituali che conducono alla maturità. Vorrei affrontare un problema che si pone accostando l'insegnamento di Guardini a quello di Voillaume. Il primo infatti punta sull'uomo e le sue risorse; il secondo, invece, punta su Dio e la sua grazia. Le due tesi sono compatibili o alternative?
Mi sembra che non vi sia opposizione, ma complementarità. Tutto quello che Guardini suggerisce, in termini di fenomenologia e di pedagogia, rimane valido e prezioso. E mentre si rivolge a ogni uomo, offre delle indicazioni che anche il cristiano deve attentamente considerare e praticare. Bisogna anzi dire che, non raramente, le difficoltà che il cristiano avverte come problemi spirituali, rimandano a una preliminare considerazione antropologica: se infatti la maturazione umana non avviene, non può che essere debole quello che noi chiamiamo lavoro spirituale perché il riferimento alla grazia non ci deve mai far ignorare la natura. E infatti, quando si prendono in esplicita considerazione i casi concreti di crisi nel mondo della vita consacrata, non raramente si deve prendere atto che l'itinerario formativo ha trascurato passaggi essenziali perché un giovane divenga adulto e possa quindi assumersi delle responsabilità di fronte a se stesso e agli altri.

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Voillaume, per parte sua, affronta la questione della maturità spirituale in senso propriamente teologico; apre, per noi cristiani, una finestra su aspetti che Guardini non ignora, ma non rende espliciti. E lo fa anche per un motivo molto semplice e concreto: sta scrivendo a persone che si sono consacrate a Dio e che dunque stanno vivendo un'esperienza non puramente naturale, ma soprannaturale, avendo come fondamento la grazia della vocazione e poi quella della consacrazione religiosa (se non addirittura quella del sacramento dell'Ordine). A tutte queste persone Voillaume offre la stimolazione di una riflessione spirituale molto onesta e acuta, dalla quale ognuno di noi può sentirsi profondamente interpretato.

***

Consideriamo dunque, con la sua guida, le tappe della nostra sequela di Cristo. Voillaume la illustra scavando in un versetto del Vangelo: «È più importante di quanto non si pensi l'aver ben capito la risposta del Signore ai suoi apostoli che si meravigliavano della difficoltà della via dei consigli evangelici: ''Agli uomini è impossibile, ma a Dio no; infatti, tutto è possibile a Dio" (Mc 10, 27). Questa constatazione del Signore e questa promessa piena di speranza non si applicano solo nell'abbondanza delle ricchezze - a proposito delle quali Gesù diceva che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio - ma a tutte le esigenze della vita religiosa». (37)
Quali tappe della vita spirituale sono dunque indicate da questa parola di Gesù? (38)

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1. La prima tappa è quella nella quale «non abbiamo ancora fatto l'esperienza dell'impossibilità umana e naturale» (39) di vivere in accordo con il dono divino della vocazione che abbiamo ricevuto. Durante la giovinezza «vi è infatti come una corrispondenza tra la generosità propria al temperamento di questa età e la chiamata di Gesù a lasciare tutto per seguirlo». (40)
Pur avvertendo, anche acutamente in certi giorni, la fatica di fare onore al nostro "sì", siamo portati a pensare che, con un po' di coraggio, ce la potremo fare nell'oggi e anche per il futuro. Non ci sembra che presentino difficoltà insormontabili gli impegni della preghiera, del celibato sacerdotale e della castità, della comunione e della disponibilità costante alla gente che ci è stata affidata (ivi comprese le persone difficili o antipatiche o scostanti), della ricerca di strade nuove per l'annuncio del Vangelo, dell'accettazione dei "no" deludenti che giungono magari da parte di coloro per i quali ci si affatica di più, del saper accettare l'inverno e attendere le imprevedibili stagioni della fioritura della grazia, dell'obbedienza al Papa e al Vescovo, della collaborazione fraterna nel presbiterio, di una significativa scelta di povertà, della responsabilità pastorale, della dedicazione diocesana con la prontezza del missionario ad andare là dove c'è bisogno del ministero di un prete, accettando imprevisti e disagi.

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2. Le cose prendono un altro aspetto dal giorno in cui si avverte, e la cosa ci potrebbe anche spaventare, che il clima interiore del nostro vivere sta insensibilmente, e a volte anche rapidamente, cambiando.
Si può avvertire, per esempio, che la carica di entusiasmo umano che ci aveva accompagnato per anni, lascia il posto a una specie di insensibilità per la vita spirituale, alla percezione che il Signore sia via via più lontano, alla tentazione di pregare di meno e in modo un po' meccanico. E ancora, può emergere, anche con prepotenza, il bisogno di soddisfazioni sensibili e di gratificazioni affettive; possono anche presentarsi serie difficoltà a proposito del celibato e della castità.
Possono apparire anche tentazioni nuove, come quella di volerci sciogliere un poco dai grossi impegni educativi e pastorali che ci sono stati affidati, per avere un po' di respiro e, più profondamente, per vivere una vita propria, almeno in parte indipendente; o quella di limitare l'apertura della mente e del cuore nel rapporto e nella collaborazione con il proprio Vescovo; quella di ritenere che la fraternità sacerdotale è pura poesia, se non ipocrisia, e che è dunque meglio non parlarne più; quella che ci spinge a una facile irritazione per ogni contrarietà e a trattare male la gente;
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quella per cui incominciamo a diventare un po' gelosi delle nostre idee, pronti persino a lasciar perdere anche valori importanti o a indebolire rapporti delicati, pur di rimanere arroccati a noi stessi; quella che ci rende sempre più interessati alle comodità e ai soldi, col rischio di offrire anche una cattiva immagine della Chiesa e di dare ai poveri l'impressione che non ci interessano per nulla; o quella per cui ci domandiamo se la nostra vita non poteva prendere qualche svolta più interessante.

3. È evidente che, quando tentazioni o orientamenti di questo genere prendono piede nella nostra vita, ci troviamo in una situazione delicata. Ma conviene dire che, di per sé, sentire delle tentazioni non significa che, da parte nostra, vi siano già delle infedeltà gravi, né che il Signore ci abbia abbandonato.
Impressioni e tentazioni come quelle ricordate possono accompagnarsi anche a una vita sacerdotale fedele alle esigenze della vocazione ricevuta. Ciò avviene, dice Voillaume, «con il tempo e con la grazia di Dio». (41) Affermazione sorprendente perché, se capiamo facilmente che il tempo ci possa condurre a questa tappa, ci pare strano che la causa sia anche la grazia di Dio.

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Naturalmente non possiamo certo addormentarci perché le tentazioni vanno vinte, anche se tocchiamo con mano, a nostre spese, che la risposta fedele alle esigenze della nostra vocazione e della nostra missione apostolica non è possibile alle nostre sole forze. Gesù ce l'aveva detto, ma solo ora lo comprendiamo.
La domanda vera, a questo punto, diventa dunque: che fare in una simile situazione? Vi è una via d'uscita? E quale?
«Se non abbordiamo francamente questa tappa (...) rischiamo sia di cadere in un larvato scoraggiamento, sia di illuderci abbassando il nostro ideale ad un livello accettabile, raggiungibile, in una parola, possibile. Ora ciò si verifica assai spesso - nota Voillaume - in questa tappa cruciale della vita religiosa». (42)
Lo scoraggiamento oppure l'accettazione semicosciente della mediocrità vengono adottati quando siamo noi stessi a decidere fin dove è ragionevole arrivare. Ma in tal modo siamo già, almeno in qualche misura, fuori dalla vocazione e ci stiamo inventando qualche surrogato umano che sembra darci una ragione di vita, cercando di "installarci" e poi di comporre il tutto un po' contraddittoriamente, con il nostro più vero cammino. Talvolta, e sarebbe molto grave, potremmo poi riprendere la nostra vita sacerdotale sotto apparenze intatte; qualche altra volta potremmo coltivare una certa osservanza onesta dei nostri impegni, il che è certamente positivo, e però senza più coinvolgere le profondità del nostro cuore.
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08/07/2011 18:12

Ciò che è ancora più sconcertante - aggiunge Voillaume, mostrando di essere un grande conoscitore della vita spirituale - è il fatto che più saremo stati generosi e fedeli alla grazia, e più questo cammino ci apparirà impossibile!». (43) Ricordando le esemplificazioni elencate poco sopra, a proposito delle esigenze intrinseche alla nostra vocazione e al nostro ministero, aggiunge che «il veder aprirsi davanti a sé un orizzonte sempre più infinito è una grazia inestimabile, poiché è la prova che Gesù è presente con la sua luce». (44) Ma «in questo cammino, divenuto ora così austero, come non essere scoraggiati dall'immensità della distanza che ci separa dalla meta? (...) Tutto infatti avviene come se avessimo indietreggiato, e ci pare di aver fallito. Inoltre abbiamo scoperto i difetti, le imperfezioni dei religiosi e dei sacerdoti che ci circondano e sentiamo chiaramente che molti di loro sono a quello stesso punto. Che serve tentare l'impossibile? (...) E tuttavia, se sapessimo ciò che Gesù aspetta da noi in questo momento critico (...), se sapessimo ciò ch'Egli attende da una tappa che non è un regresso come noi immaginiamo ma una messa in atto delle condizioni per una nuova partenza, per la scoperta di una vita secondo lo Spinto e la fede, con la convinzione, che dobbiamo, acquisire, che una tale vita è allora possibile con Gesù!». (45)
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08/07/2011 18:12

Questa è la vera e unica via d'uscita. Come si vede, non conduce verso il basso, ma verso l'alto. Ed è attesa e grazia del Signore sulla nostra vita. «Dovremo smettere di guardarci e saper riscoprire Gesù, che non ha mai cessato di essere presente, ma la cui presenza è ora molto diversa da quella di prima». (46)
In questa terza tappa potremmo avere, a volte, la percezione che tutta la nostra vita sia «sospesa ad un filo che non riusciamo a vedere abbastanza per poterne constatare la solidità. Come un filo di nylon esso ci sembra talmente sottile e trasparente da farci perdere il senso di sicurezza (. . .). Come l'alpinista preso da vertigine, non abbiamo più il diritto di guardare verso il basso, di seguire con lo sguardo la parete a cui siamo aggrappati, sotto pena di staccarcene e di non poter più avanzare: siamo condannati a guardare solo in alto, oppure a non arrivare alla meta. Per rendere possibile questa terza tappa ciò che ci resta da scoprire e da vivere è il credere che Gesù ha detto la verità quando ha affermato che "questo è possibile a Dio"». (47)
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08/07/2011 18:12

Certo, nella sua bellezza, questa tappa chiede una spogliazione interiore, domanda che si lascino cadere infondate ambizioni, sospinge a essere umili, suggerisce di implorare da Gesù che i sentimenti del suo cuore diventino i nostri, porta ad accettare di non essere nulla per noi stessi e tutto per il Signore e per gli altri, apre a sperare contro ogni speranza, conduce a riscoprire una preghiera perseverante, a ripartire in una nuova prospettiva, verso un nuovo modo di essere preti, di vivere il celibato, di camminare nella comunione e nell'obbedienza, di praticare la carità.
Quando ciò avviene, «l'adolescenza della nostra vita spirituale sta finendo», (48) si sta entrando nell'età adulta e nella piena maturità della nostra vita umana e spirituale.
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Osservazioni conclusive

Due approcci complementari

Come ho già accennato, gli approcci di Guardini e di Voillaume alla vita adulta e alle sue crisi possono essere, per il cristiano, complementari. Leggendo Guardini si è aiutati a prendere coscienza che, nella generalità dei casi, le crisi rimandano alla considerazione del cammino di maturazione umana che il cristiano (anche il cristiano) deve sentire proprio, compresi quei cristiani che diventano religiosi o sacerdoti. Meditando Voillaume si è aiutati a capire che un'esistenza "spiegata" solo dalla fede e da una vocazione dovuta alla grazia non può essere debitamente e positivamente affrontata se non al di dentro del mistero di grazia che la fonda e l'ha fatta sbocciare.

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Unicità della "seconda chiamata"

Si può forse aggiungere che, se ogni età della vita ha una sua ricchezza e corre i suoi rischi, altrettanto si può dire del cammino spirituale. E però, la "seconda chiamata" va intesa bene. Se si lega, in buona parte, a un'età e a una concreta esperienza, va in essa riconosciuta una certa sua "unicità" .
Questa consiste nell' avvenimento spirituale per il quale, nella vita adulta, ci si apre a Dio, alla sua presenza, alla sua grazia come al fatto decisivo per portare avanti l'avvenimento spirituale intrapreso e, fino a un certo giorno, letto (almeno inconsciamente) come possibile alle sole nostre forze umane.
Con questa ultima osservazione non vorrei dare l'impressione di semplificare troppo le cose. In realtà, noi non diciamo mai - a parole - che il cammino vocazionale e ministeriale è possibile alla semplice buona volontà. E, nella nostra condotta, vi sono sempre dei segni di riconoscimento del valore decisivo della grazia di Dio. Ma tutto questo, quando è debole, un bel giorno manifesta tutta la sua insufficienza, e scoppia la crisi. Segni di questa debolezza sono, in particolare, la scarsità o la superficialità della preghiera, o anche una "gestione" dell'affettività e della sessualità che sembra dire: «So bene io come regolarmi; e, se a volte mi lascio andare e arrischio, nel rapporto con qualche persona, di violare la scelta del celibato per il Regno di Dio, so bene quando fermarmi». L'esemplificazione potrebbe continuare.

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08/07/2011 18:13

Rilevanza della risposta alla "prima chiamata"

Vi è ancora da aggiungere che la "seconda chiamata" (quella tipica della vita adulta e di chi ha già vissuto anni di esperienza sacerdotale o di vita consacrata) è tanto più affrontabile quanto più la "prima chiamata", quella degli anni giovanili, è stata vissuta realmente come un avvenimento molto coinvolgente, come invito di Dio che comprende veramente il sacrificio di noi stessi per metterci a disposizione del ministero ecclesiale. In particolare, comprende anche il sacrificio del cuore con la rinuncia all'amore del matrimonio per vivere l'amore al di dentro della consacrazione totale e di una totale disponibilità alla missione.
È veramente molto importante la risposta alla prima chiamata. Essa deve essere coraggiosa, anche se non priva di tormenti, di giorni nei quali tutto viene messo in discussione da qualcosa che, dentro di noi, si oppone alla proposta di Dio e spinge verso un'altra direzione il nostro futuro. Già la prima chiamata può essere, negli anni dell'adolescenza e della giovinezza, il tempo nel quale sperimentare con una certa drammaticità che il passo della risposta alla vocazione è possibile solo alla potenza della grazia di Dio e che le difficoltà - apparentemente insuperabili richiedono di strappare a Dio la forza, e poi il dono di una pace interiore, che consente di passare oltre il crinale della montagna e di entrare in una condizione spirituale nuova, fatta di luce, di gioia, di intima risoluzione.

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L'importanza dello stile nella "quotidianità"

E ancora, la crisi dell' età adulta, oltre a essere una cosa diversa a seconda di quel che è stata la crisi della prima chiamata, è pure caratterizzata dal modo secondo il quale si affronta il quotidiano negli anni che conducono al momento della prova e di una svolta spirituale. Lo stile quotidiano degli anni di vigilia può maturare la capacità di far propria, lentamente, l'indicazione del Vangelo su ciò che è possibile a Dio e non a noi; oppure può creare delle condizioni sfavorevoli, preambolo di un dramma che potrebbe non essere a lieto fine.

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08/07/2011 18:13

Conoscere la crisi non vuoi dire colpa

L'osservazione precedente ha bisogno di essere completata per evitare equivoci di interpretazione. Come ci ha ricordato Voillaume, il completamento consiste nel dire che non si deve pensare alla crisi della seconda chiamata, come del resto a quella della prima, come se fossero semplicemente attribuibili al fatto che si è vissuto male o si sta trascinando stancamente il proprio cammino. Certo, può essere così. Ma va onestamente constatato che tale crisi può investire i migliori tra i seminaristi o tra i preti giovani. Si tratta, per tutti, di fare i conti con la propria umanità e di raggiungere una sintesi tra esigenze che paiono escludersi vicendevolmente.
Anche per i migliori arrivano i giorni nei quali tutto potrebbe "saltare". Quelli sono momenti molto importanti: se la libertà si determina nell' adesione rinnovata alla chiamata del Signore, si compie un passo verso la maturità. Qualcosa deve morire, e ciò costa molto. Ma avverrà come al seme che, caduto in terra, muore e, proprio attraverso questo passaggio, dà molto frutto.

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08/07/2011 18:13

Non trascurare l'antropologia

L'insegnamento di Voillaume non è alternativo a quello di Guardini. In realtà, lo presuppone e lo comprende, anche se non viene esplicitamente illustrato.
In ogni caso non si può sottovalutare quanto Guardini propone e che, con un termine comprensibile (e un po' generico), possiamo chiamare "formazione umana", sia prima di diventare preti, sia mentre ci si trova a svolgere il ministero sacerdotale.
È forse il caso di domandarci apertamente quanto tutta questa premura di formazione umana compagina la pedagogia del nostro cammino di preti, quando e come venga considerata e approfondita, quali scelte concrete (e magari urgenti) potrebbe esprimerla.

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08/07/2011 18:14

La preziosità dell'aiuto reciproco

C'è ancora almeno un punto che deve essere accennato.
Seguendo Guardini si potrebbe dire che, nel processo che consente di diventare adulti, gli altri possono dare una mano: intendo dire quegli altri adulti con i quali ci si può confrontare e insieme ai quali approfondire sia i valori che si svelano soprattutto nella vita adulta, sia i motivi che possono mettere in crisi negli anni della vita adulta, sia le scelte che stanno a dire una "risolutezza" con cui si intende affrontare il futuro.
Qualcosa di analogo può essere detto a proposito della traccia del cammino verso la maturità spirituale suggerita da Voillaume. In questo caso l'aiuto vicendevole tra sacerdoti consiste, per esempio, in una comunicazione nella fede circa la propria esperienza spirituale e, ancor più, nella testimonianza di un ritrovamento più profondo e reale di Dio; consiste in una condivisione sincera di ciò che maggiormente conta nella propria vita e di ciò che, in fondo, spiega perché nella giovinezza si è diventati preti o religiosi. Senza dimenticare che tante persone, anche tra i laici, possono costituire uno strumento di Dio per la maturazione del sacerdote e o per la sua fedeltà nel tempo. (49)

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08/07/2011 18:14

Mi sembra necessario accennare anche al fatto che l'incontro con l'altro non è automaticamente e sempre positivo e costruttivo: dipende da come viene inteso e da come viene impostato. Male inteso, potrebbe anche essere negativo. Occorre dunque vigilanza e anche decidere che l'incontro con l'altro (o gli altri) sia ispirato al desiderio di "promuovere" la persona: la propria e quella degli altri.
Mi sembra utile infine rimarcare un significato racchiuso nel fatto che la riflessione di Guardini e di Voillaume (nelle pagine considerate, non quindi in tutto il loro insegnamento) metta tanto in evidenza la persona di ciascuno di noi, la sua responsabilità, la sua vocazione. In questo modo non si nega certo l'apporto comunitario al cammino personale, ma si esclude che il cammino personale possa esaurirsi o essere totalmente riversato in ciò che noi chiamiamo "esperienza comunitaria".

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***

Tutto quanto ho detto fin qui diventa per me, a questo punto, motivo per esprimere a tutti i giovani sacerdoti un augurio: quello di diventare, tra i venticinque e i quarantacinque anni (alzerei un poco le età rispetto a quelle indicate da Guardini), veramente adulti, di sperimentare un vigoroso respiro spirituale e di conoscere la maturità spirituale.



[7] Renato Corti (1936), sacerdote dell'arcidiocesi di Milano, è stato ordinato vescovo nel 1981; dal 1990 è vescovo della diocesi di Novara; ha ricoperto e ricopre diversi incarichi nell' ambito della Conferenza Episcopale Italiana. Il testo riportato è la trascrizione della relazione tenuta a Gazzada (VA) il 13 novembre 1997 ai sacerdoti dell'arcidiocesi di Milano, ordinati negli anni: 1985, 1986 e 1987.
[8] Renato Corti, lettera pastorale A immagine di Cristo, Novara, 22 settembre 1996.
[9] Renato Corti, op. cit., pp. 100, 104-106.
[10] Romano Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano, 1986.
[11] René Voillaume, Sulle strade del mondo, Editrice Morcelliana, Brescia, 1960.
[12] Romano Guardini, op. cit.
[13] Romano Guardini, op. cit.
[14] Romano Guardini, op. cit.
[15] Romano Guardini, op. cit.
[16] Romano Guardini, op. cit.
[17] Romano Guardini, op. cit.
[18] Romano Guardini, op. cit.
[19] Romano Guardini, op. cit.
[20] Romano Guardini, op. cit.
[21] Romano Guardini, op. cit.
[22] Romano Guardini, op. cit.
[23] Romano Guardini, op. cit.
[24] Romano Guardini, op. cit.
[25] Romano Guardini, op. cit.
[26] Romano Guardini, op. cit.
[27] Romano Guardini, op. cit.
[28] Romano Guardini, op. cit.
[29] René Voillaume, op. cit., p. 3.
[30] René Voillaume, op. cit., p. 3.
[31] René Voillaume, op. cit., p. 3.
[32] René Voillaume, op. cit., p. 3.
[33] René Voillaume, op. cit., p. 3.
[34] René Voillaume, op. cit., pp. 3 e 4.
[35] René Voillaume, op. cit., p. 4.
[36] René Voillaume, op. cit., p. 4.
[37] René Voillaume, op. cit., p. 4.
[38] Cfr. Renato Corti, op. cit., pp. 108-111.
[39] René Voillaume, op. cit., p. 5.
[40] René Voillaume, op. cit., p. 5.
[41] René Voillaume, op. cit., p. 7.
[42] René Voillaume, op. cit., p. 9.
[43] René Voillaume, op. cit., p. 9.
[44] René Voillaume, op. cit., p. 9.
[45] René Voillaume, op. cit., pp. 9 e 10.
[46] René Voillaume, op. cit., p. 11.
[47] René Voillaume, op. cit., p. 11.
[48] René Voillaume, op. cit., p. 10.
[49] Cfr. Renato Corti, op. cit., p. 101.

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PORTARE LUCE NELL'INCREDULITÀ DEL NOSTRO TEMPO

Carlo Maria Martini

(50)

In questa meditazione mi lascio ispirare, più che da una pagina biblica, dalla figura di Teresa di Gesù Bambino, di cui si celebra il primo centenario della morte.

Donaci, Signore, di entrare in qualche modo nel mistero della prova della fede di Teresa di Gesù Bambino

e, per sua intercessione, di paterne trarre frutti di aiuto per noi e

per gli altri, quei frutti che sono racchiusi nel tuo disegno di salvezza.

Svolgerò la riflessione in tre momenti:
-
la prova di Teresa e il nostro tempo;
- la crisi attuale della fede;
- il prete e la prova della fede del nostro tempo.

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