IN SPIRITO E VERITA'

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vita di Mosè

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2011 19:40
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D'altra parte, è innegabile che anche Mosè avesse la sua paura; infatti, subito dopo queste parole coraggiose, il racconto biblico prosegue dicendo: «Il Signore disse a Mosè: ' Perché gridi verso di me? ' » (14, 15). Ciò significa che mentre Mosè diceva alla gente di starsene tranquilla, dal canto suo egli stesso gridava al Signore. E la sua paura non doveva essere piccola, come leggiamo in un altro passo dell'Esodo, dove Mosè invoca l'aiuto del Signore dicendo: «Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno» (17,4). Da una parte dunque Mosè segue l'istinto dello Spirito, che lo spinge verso il coraggio della fede, ma dall'altra anche lui è preso dall'angoscia, che lo trascina verso la disperazione. Mosè è dunque diviso.
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3. Il passaggio del Mar Rosso

Ma ecco che, nel suo gridare verso il Signore, la fede di Mosè si purifica, finché il Signore stesso interviene: «Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone e stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all'asciutto» (14, 15s.). Viene poi descritta la scena del passaggio del Mar Rosso: tutto si svolge in modo dignitoso e solenne, come se si trattasse di una processione regale. Israele avanza nella notte, quasi per dire come Dio fa le cose facili quando ci si abbandona a lui, quando ci si abbandona totalmente e gli si dice: «Eccomi, Signore, per fare la tua volontà; non capisco niente, ma avrà certo un senso questa prova che tu mi mandi; ti offro la mia vita, desiderando seguirti in povertà, cioè nell'assenza di mezzi umani e nell'assenza di successo umano». Allora le cose si svolgono con esemplare semplicità, senza quell'affanno frenetico, o spasmodico, degli Israeliti: «Combattiamo fino alla morte », oppure « Mandiamo un'ambasceria » . . . La notte del terrore diventa la notte della pace e della tranquillità.

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Fanno fiducia a lui

Dice san Paolo che gli Israeliti « sono stati battezzati in Mosè ». Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che hanno avuto fiducia in lui, fino ad entrare nell'acqua del mare, fiduciosi in Mosè: Dio gli ha parlato, e quindi avanti! È terribile inoltrarsi, nell'oscurità della notte, lungo una striscia di terra, lambita dalle onde ai due lati; eppure noi ci lasciamo guidare da Mosè, perché facciamo fiducia a lui. « Essere battezzati in Mosè » significa per gli Israeliti prendere su di sé il rischio di Mosè, accettare l'insicurezza di Mosè. Allo stesso modo, per noi «essere battezzati in Gesù» significa prendere su di noi il rischio di Gesù, e dirgli: «Signore, ti seguirò dove tu andrai; voglio vivere come tu vivi, mangiare come tu mangi, dormire come tu dormi, affrontare le tue stesse contrarietà ». Ciò vuol dire decidersi a vivere una vita pasquale, una vita secondo lo Spirito: decidere di lasciarsi salvare dallo Spirito di Gesù.

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Gli Israeliti, seguendo Mosè, non fanno niente se non decidere di lasciar fare a Dio: si lasciano portare come « su ali di aquila ». E noi, seguendo Gesù, decidiamo di lasciarci salvare da lui: facciamo fiducia alla sua potenza infinita, alla sua sapienza, alla sua capacità di guidarci; ci lasciamo immergere in lui, prendendo volentieri i suoi rischi e le sue insicurezze, giorno per giorno. Accettiamo quel rischio che ci espone all'eventualità di realizzarci come uomini, affettivamente e culturalmente, oppure a quella di essere schiacciati in situazioni piccole e meschine. Corriamo il rischio di Gesù, senza cercare la nostra realizzazione, che sarebbe di nuovo un'opera faraonica. Comprendiamo allora l'importanza della frase «il Signore combatterà per voi e voi starete tranquilli»: la decisione fondamentale è presa dal Signore; l'opera è sua; essere battezzati in lui vuol dire lasciarsi invadere dalla potenza dello Spirito.
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4. Il canto pasquale dei battezzati

Il cantico che si legge nel cap. 15 è una delle più antiche composizioni bibliche. Lo possiamo chiamare il «canto pasquale dei battezzati », cioè di tutti coloro che, avendo accettato di prendere su di sé il rischio di Gesù e scommettendo la propria vita sul Vangelo contro l'evidenza mondana, dicono: «Ma come è stato tutto così semplice: il Signore ci ha preso senza che nemmeno ce ne accorgessimo. Abbiamo visto cadere gli Egiziani; avevamo una paura matta di loro, che erano il popolo più potente del mondo, e invece sono là che galleggiano sul mare» . . . Insomma, tutti i condizionamenti per i quali si aveva tanta paura, una volta presa la decisione totale di lasciarci invadere dallo Spirito del Signore, si rivelano gradualmente per dei giochi da bambini. Allo stesso tempo appare che la vita evangelica è una cosa semplice, facile e bella.
Ascoltiamo il canto di Mosè: «Voglio cantare perché mirabilmente ha trionfato, gettando in mare cavallo e cavaliere». lo avevo paura dei cavalli, che corrono più di me, e dei cavalieri, che sono armati di lancia; e invece: «Mia forza e mio canto è il Signore. Egli mi ha salvato. È il mio Dio, il Dio dei nostri padri, lo voglio esaltare ». I carri del faraone e tutto il suo esercito, tutta quella potenza che mi atterriva, tutti quegli ostacoli che mi sorgevano davanti
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(«Ma non ce la farai; sarà una vita impossibile; dovrai andare contro le idee moderne; la tua vita non sarà più autentica»), tutte quelle inquietudini che spesso si ammantavano di psicologia o di sociologia («Ma vivere così non ha senso; la personalità non si sviluppa. . . »), tutto ciò è ormai sommerso nel Mar Rosso: «Gli abissi li coprirono e sprofondarono come pietra». E io non ho fatto niente. « La tua destra, Signore, terribile per potenza; la tua destra, Signore, annienta il nemico ». È questo il canto del battezzato, che si riconosce salvato e dice: «Dio veramente ha combattuto per me; io ho detto di sì allo Spirito e il Signore ha fatto tutto» .
Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere questa semplicità della scelta evangelica, che ogni giorno ci è chiesto di rinnovare.
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quinta meditazione


Mosè: servo di Dio

Nel libro dei Numeri (12, 7\ Mosè è chiamato « servo ». Dice il testo: «Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa ». Questo titolo di « servo» è ripreso in Dt. 34, 5, al momento della morte di Mosè: «Mosè servo di Jahvé, morì in quel luogo ». Esso è dunque il titolo onorifico che gli viene attribuito al termine della sua vita. La lettera agli Ebrei (3, 5), poi, cita quasi testualmente il libro dei Numeri, ma per affermare che Mosè, pur essendo giunto alla dignità di «servo », non è niente di fronte a Gesù, che è «Piglio»: «In verità fu fedele Mosè in tutta la sua casa come servo, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi ».

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Un commento di san Gregorio Nisseno

Su questa rappresentazione di Mosè come servo fedele, come «uomo di fiducia », c'è un magnifico commento di Gregario Nisseno, verso la fine della Vita di Mosè. Gregario, che conosceva tutte le tecniche dell'arte oratoria, in un periodo lungo una pagina e mezza, ci dà un vero saggio di tutte le sue capacità. Leggiamone qualche brano: «Noi impariamo dal fatto che, essendo passato per tante fatiche, Mosè sia giudicato alla fine degno di essere chiamato con il nome sublime di servo di Dio, ciò che equivale ad essere superiore a tutto ». Poi continua:« Che cosa impariamo noi da ciò? A non avere se non uno scopo in questa vita: di essere chiamati servi di Dio a causa delle nostre azioni». Ed è proprio in funzione di tale appellativo che allora riassume tutta la storia di Mosè, applicandola « a te che leggi »: «Infatti - dice Gregario allettare -, quando tu avrai trionfato di tutti i tuoi nemici, l'Egiziano, l'Amalecita, l'Idumeo, il Madianita; quando tu avrai attraversato l'acqua; quando tu sarai stato illuminato dalla nube; quando tu avrai reso potabili le acque col legno; quando avrai bevuto alla roccia;
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quando avrai gustato il nutrimento dall'alto; quando avrai fatto la strada che ti porta alla montagna; o quando sarai stato istruito sui misteri divini. . . (e qui tutta la vita di Mosè viene applicata a colui che legge) . . . quando tu avrai ridotto al niente tutto ciò che si eleva contro la tua dignità come Datan, consumandolo col fuoco come Core (sono gli ultimi episodi di rivolta che Mosè ha domato); allora tu ti avvicinerai al termine, e io intendo con questa parola' termine' ciò in vista di cui tutto avviene: così, il termine della coltivazione dei campi è gustarne i frutti, il termine della costruzione di una casa è abitarvi, il termine del commercio è arricchirsi, infine, il termine delle fatiche dello stadio è essere coronati: così, il termine della vita spirituale è essere chiamati servi di Dio ». Questo è dunque il culmine a cui giunge la vita di Mosè: il servizio.
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Centralità di questa idea anche per noi

Vorrei suggerirvi qualche riflessione proprio su questo tema, che mi pare fondamentale, anche perché ciò che caratterizza gli Esercizi Spirituali non sono una preghiera prolungata, o una qualunque esperienza di Dio - anche se bellissima -, ma sono preghiera ed esperienza di Dio in vista di un discernimento per una scelta circa il miglior modo di servire. Si tratta, quindi, di imparare come poter servire meglio, cioè come essere più disponibili, accorgendosi di più delle vere necessità degli uomini nostri contemporanei e della Chiesa. Insomma, se dovessi riassumere in una domanda il tema di questa meditazione, mi chiederei: «A che cosa ci porta il passaggio del Mar Rosso? ». Non ci porta certo ad un'esistenza facile e sicura, bensì ci porta alla vera vita evangelica. « E cos'è la vera vita evangelica? ». Vedremo come essa è vita di servizio, esistenza diaconale: esistenza spesa per i fratelli.

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E qui vorrei ricordare anche la sapienza rabbinica, che ha intravisto tutto questo. Già ho citato il detto circa i tre periodi della vita di Mosè, di Hillel l'anziano, di Rabban Johnatan Ben Zakai, di Rabbi Akiba. Se ricordate, questi uomini hanno trascorso i primi quarant'anni della loro vita in varie attività; hanno poi speso il secondo quarantennio in un'attività che è definita « servizio dei saggi », consistente nell'imparare la Torah per crescere nella propria cultura e diventare un buon rabbino; infine, per il terzo quarantennio di tutti e tre si dice: «Servì Israele per quarant'anni». Questo è dunque il termine di tutta la loro formazione e il culmine della loro carriera.
In questa meditazione ho cercato di ricavare dai molti testi del Pentateuco alcuni suggerimenti, che vorrei ordinare in tre riflessioni, o punti.
La prima riflessione consiste in un'indagine, attraverso le pagine dell'Esodo, dei Numeri e del Deuteronomio, circa i diversi servizi resi da Mosè al suo popolo, dal passaggio del Mar Rosso in poi. La seconda riflessione consiste in un'analisi dell'esistenza cristiana come esistenza diaconale.
La terza riflessione, che sarà molto breve, prende in considerazione i diversi momenti successivi e i diversi gradi di questa esistenza diaconale.
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07/07/2011 19:22

1. I servizi resi da Mosè

Ho cercato di mettere insieme i vari episodi raccontati nel Pentateuco e ho pensato di sintetizzarli - in modo del tutto approssimativo - in cinque tipi di servizi, o diaconie, che Mosè ha esercitato. Li presento in un certo ordine, che mi sembra progressivo dal meno al più, anche se il meno è già importantissimo e fondamentale. Viene al primo posto il servizio dell' acqua e del pane; al secondo il servizio della responsabilità; al terzo il servizio della preghiera e dell'intercessione; al quarto il servizio della consolazione; infine al quinto il servizio della parola.

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Il servizio dell' acqua e del pane

Appena cantato il cantico, appena finito l'entusiasmo per il passaggio del Mar Rosso, la gente comincia a mormorare perché non si trova l'acqua (cfr. Es. 15, 22ss.). Bisogna, quindi, che Mosè cominci di n. Il poveretto non aveva mai pensato di dover diventare un economo e invece deve buttarsi proprio in questo tipo di problemi. Subito dopo, neanche a farlo apposta, il racconto continua dicendo che poi manca il pane (cfr. 16, 1 ss.) e quindi Mosè deve preoccuparsi anche di questo. Poi manca la carne, e poi di nuovo l'acqua (cfr. 16,8-17,7). Qui sta appunto il primo elementare servizio che Mosè deve rendere: il servizio dell'acqua, del pane e della carne. Probabilmente, quando la voce del Signore gli aveva detto: «Va' a liberare il mio popolo », mai avrebbe pensato di dover fornire anche un servizio di questo tipo; ma ora vede che bisogna immediatamente provvedere anche a quelle necessità.

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07/07/2011 19:23

Anche noi forse potremmo rivolgere a Mosè il rimprovero che gli farà il suocero Jetro nel cap. 18, e dirgli: «Mosè, tu ti preoccupi proprio di tutto e a tutto vuoi provvedere: all'acqua, al pane, alla carne! Ma perché ti occupi di tutte queste cose? Sei forse un faraone anche tu? Sei forse uno che vuol dominare tutto e tutto tenere sotto il proprio controllo? Guarda che sarai schiacciato da questa fatica ».
Difatti, il suocero, che era un uomo saggio, gli dirà: « ' Che cosa è tutto questo lavoro che vai svolgendo per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina .alla sera? ' (si trattava del compito di rendere giustizia). Mosè rispose al suocero: ' Ma il popolo viene da me per consultare Dio. . .' (cioè vengono da me per le loro vertenze). E il suocero gli disse: ' Non va bene quellò che fai! ,Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te. Tu non puoi attendervi da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te ' » (18, 14-19). Allora Jetro gli insegna il principio di sussidiarietà . .., suggerendogli di scegliersi degli anziani onesti e di costituirli come capi di migliaia, di centinaia, di cinquantine e di decine, cosicché arrivino fino a lui soltanto le questioni più importanti. « Se fai questa cosa - e Dio te la comanda -, potrai resistere e anche questo popolo arriverà in pace alla sua meta» (18, 23). Quello fu un momento assai importante nella vita di Mosè: anche lui doveva imparare a comandare. All'inizio, nella sua incompetenza, credeva di dover fare tutto; poi ha imparato. Infatti, quando il Deuteronomio riprenderà la storia della sua vita, fin dal cap. 1 ricorderà quel momento come assai importante (cfr. Deut. 1, 9-18).
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07/07/2011 19:23

In ogni caso, per quanto Mosè a un certo punto abbia imparato che non poteva fare tutto da sé, resta vero che non senza provvidenza di Dio egli ha dovuto imparare a fare un po' di tutto, rendendosi conto di persona di tutti i bisogni della gente e imparando che ci sono bisogni essenziali e servizi necessari, fino a diventare così molto realista. In tal modo ha perso forse un po' del suo idealismo: quel certo intellettualismo a cui poteva essere tentato dopo 40 anni di deserto, spesi a parlare con le stelle; ma ora si è accorto che ci sono bisogni urgenti, a cui bisogna provvedere subito, che la gente grida, che la gente ha fame. È quindi molto importante, nell'educazione diaconale di Mosè, che il Signore lo abbia fatto passare attraverso questo tipo di servizio. D'altra parte, anche i dodici apostoli, che a Gerusalemme - come ci raccontano gli Atti degli Apostoli al cap. 6 - a un certo punto diranno: «Non possiamo far tutto, perciò creiamo i diaconi », in realtà erano passati attraverso l'educazione a loro imposta dal prolungato servizio delle mense.
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07/07/2011 19:23

Il servizio della responsabilità

Questo secondo servizio è per Mosè, che lo sente molto, come un peso: è un po' come portare sulle spalle i propri fratelli, con tutti i loro difetti e le loro immaturità. Mosè ha gradualmente capito che bisogna prendere la gente così com'è, con tutte le mormorazioni, le inquietudini e le ire che ne vengono fuori. È quanto dice chiaramente lui stesso nella sua autobiografia, in Deut. 1, 9s.: « In quel tempo vi ho detto: lo non posso da solo sostenere il carico del popolo. Il Signore vostro Dio vi ha moltiplicati ». Mosè è dunque convinto di dover sopportare il carico del popolo. E ancora aggiunge: «Come posso io da solo portare il vostro peso, il vostro carico e le vostre liti? » (1, 12).
Mosè sa bene che, anche se non da solo, deve portare «il peso, il carico e le liti» della gente così com'è: gente che litiga. ..; con tanti problemi che già ci sono nel deserto magari contendono per un pezzo di tenda, o un pezzetto di terreno, ed esigono l'intervento di Mosè. Egli ha così imparato ad assumere il servizio della responsabilità, che - come sappiamo bene - non è soltanto il servizio di coloro che hanno una qualche responsabilità ufficiale, ma è il servizio di ciascuno di noi, in quanto è responsabile. dei fratelli. Ciascuno di noi è responsabile di coloro che conosce, dei loro problemi, dei loro pesi: ci sosteniamo a vicenda. È questo il servizio che Mosè ha praticato fino all'estremo, in maniera esemplare per noi.

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07/07/2011 19:24

Il servizio della preghiera e della intercessione

Anche questo terzo servizio Mosè lo compie a proprie spese. Non si tratta semplicemente dell'intercessione di chi dice delle parole per gli altri. Mosè è sempre coinvolto di persona nelle parole che dice. Come esempio tipico di preghiera e d'intercessione vi cito l'episodio in cui Mosè alza le mani nel combattimento contro Amalek: «Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza (infatti è faticoso il servizio della preghiera), presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e uno dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole» (Es. 17, 11s.). :E. bellissima questa immagine di Mosè che prega fino al tramonto: è l'immagine dei grandi intercessori della Chiesa, l'immagine a cui si ispirano le anime contemplative, che intercedono per l'umanità.
Nel suo ministero di intercessione, Mosè osa molto: d'altronde egli aveva una tale conoscenza di Dio, da potersi permettere parole che a noi sembrano quasi bestemmie. Quando il Signore si adira con il suo popolo a causa del vitello d'oro,
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Mosè dice al Signore: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro (quindi riconosce come stanno le cose, senza cercare di coprirle con una bugia, al modo di Adamo). Ma ora, se tu vuoi, perdona il loro peccato; se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (32, 31s.). Mosè vive l'esperienza del suo popolo dal di dentro, al punto di volersi imporre a Dio stesso, pur di intercedere per i suoi. Evidentemente questo è un caso limite, come quando Paolo dice: «Vorrei essere anatema da Cristo per i fratelli»; tuttavia esso esprime bene il grado di coinvolgimento, che Mosè porta nella sua preghiera.
Su questo coinvolgimento hanno scritto e hanno forse un po' scherzato i rabbini. Tra le leggende rabbiniche su Mosè c'è una pagina particolarmente provocante. Dice il midrash: '« Solo litigando per il suo popolo e litigando anche contro Dio, Mosè divenne uomo di Dio. Svolgeva infatti (e qui è un po' l'autore moderno che parla) due ruoli veramente difficili: rappresentava Dio presso Israele e Israele presso Dio. Bastava che gli angeli si pronunciassero contro Israele, e accadeva spesso, perché Mosè li facesse tacere. Quando Dio decise di fare dono ad Israele della Legge, gli angeli gli si opposero e Mosè li strapazzò: 'Ma allora chi la osserverà, voi? Solo gli uomini possono accettare la Legge e v\vere .8econdo i suoi dettami! '. E quando il popolo toccò il fondo dell'abisso,
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07/07/2011 19:24

ballando intorno al vitello d'oro, Mosè trovò .ancora il modo di difenderlo: ' È colpa sua o tua, o Signore? Israele ha vissuto così a lungo in esilio fra adoratori di idoli che ne è stato avvelenato. È colpa sua se non riesce a dimenticare così facilmente? '. Di fronte alla minaccia divina pone un ultimatum: 'O perdoni tutto, o cancelli il mio nome dal tuo libro '. E quando Dio gli disse: ' Il tuo popolo ha peccato ', Mosè replicò: ' Quando Israele osserva la tua Legge è il tuo popolo e quando la viola sarebbe il mio? ' ». Vediamo così come Mosè davvero si identifichi con il suo popolo.

Il servizio della consolazione

Un tipico caso di servizio della consolazione ci è presentato in occasione dell'uscita dall'Egitto. Quando la gente protesta:« Lasciateci stare; lasciateci servire l'Egitto, perché non vogliamo morire nel deserto », Mosè risponde: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! » (14, 12s.). Si potrebbe qui riflettere a lungo su questo intervento consolatorio, che non è un vago «andate in pace, state tranquilli, fatevi coraggio », ma è una parola precisa, che veramente incoraggia in nome di Dio. Si tratta di un servizio per la fede, non di semplice simpatia umana.

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Il servizio della parola

Il servizio della parola è quello che principalmente qualifica Mosè, uomo della Parola di Dio, anche se noi non mediteremo la alakà di Mosè (tutte le prescrizioni, le leggi e i precetti, di cui sono pieni l'Esodo e il Levitico). Tuttavia sappiamo che gran parte della missione di Mosè consiste nell'annunciare 'al popolo la parola. Questa è la sua missione fondamentale, quella che senz'altro lo qualifica secondo il Siracide: «Dio gli fece udire la sua voce; lo introdusse nella nube oscura. Dio gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d'intelligenza, perché spiegasse a Giacobbe la sua alleanza, i suoi decreti ad Israele» (Sir. 45, 5s.). Qui si potrebbe citare anche Es. 19, 3, dove comincia il grande servizio della parola: «Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte e gli disse: ' Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti ' ». Si tratta del Decalogo e di tutta la Legge: d'ora in poi Mosè vivrà al servizio della Parola che Dio gli affida perché sia portata al popolo.

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