IN SPIRITO E VERITA'

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vita di Mosè

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2011 19:40
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14/06/2011 20:02

Il suo indurimento, quindi, rappresenta emblematicamente quel «potere» che non accetta di non essere se stesso e cerca qualunque trasformazione, pur di rimanere se stesso.

L'indurimento per ostinazione

Se ora applichiamo a noi questo indurimento ritengo di poter distinguere due fondamentali accezioni del termine, due modi d'intederlo. In primo luogo c'è l'indurimento per ostinazione; è la forma più tipica, che non comporta solo l'indurimento dell'ateo che non vuol credere, o del peccatore. sensuale che non vuoI tirarsi fuori dal vizio - che quasi non lo può tanto vi è dentro -, bensì comprende anche un'ostinazione che si manifesta negli ambienti religiosi ed ecclesiastici, quando ci si crede detentori della verità in forma possessiva, cioè non perché ci è donata nella Chiesa, ma perché è identificata con la nostra storia, addirittura con la nostra realtà personale. Perciò un attentato a quella che crediamo essere la verità ci sembra un'offesa personale, un torto fatto a noi, e non un'offesa fatta alla Chiesa. In questo modo, noi siamo portati a identificare la nostra storia personale, la nostra identità, con quello che non può non essere vero. Ed allora ci induriamo, né vogliamo sentir ragioni. E tanto più ci sentiamo vincolati, se abbiamo delle responsabilità nella vita civile, sociale, ecclesiastica: delle posizioni ufficiali da difendere. Ecco l'indurimento del cuore come ostinazione.

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L'indurimento per debolezza

C'è poi un secondo modo di intendere l'indurimento del cuore del faraone, che io chiamo l'indurimento per debolezza. Lo sperimentiamo quando ci accorgiamo che ci sono dei limiti alla nostra capacità di amare. Finché le condizioni sono facili, non ce ne accorgiamo; quando invece le condizioni si fanno più difficili - cioè quando entriamo nella vita come conflitto di forze, di opinioni, di interessi -, allora sempre più sperimentiamo la nostra impotenza pratica a liberarci da noi stessi e ad amare davvero. Allora si verifica in noi la definizione dei pagani data in Lc. 6, 31-35: anche noi salutiamo quelli che ci salutano, imprestiamo a quelli da cui pensiamo di ricevere, facciamo sorrisi a chi ci fa il sorriso e a quelli da cui temiamo qualcosa, cercando al tempo stesso di tenerli alla larga, in modo che non sia messa in pericolo la nostra integrità. Anche noi abbiamo paura di perdere, come il faraone, e non vogliamo perdere, vogliamo piuttosto trattare e venire a patti. In fondo, abbiamo paura di perdere la vita, e poiché Gesù dice: «Se uno non perde la propria vita non può essere mio discepolo », noi dobbiamo riconoscere allora che non siamo suoi discepoli. A questo proposito, val la pena di ricordare pure i condizionamenti da cui siamo oppressi per il solo fatto di essere membri di un gruppo, di una classe, di una società. Fenomeni simili si notano presso quei popoli dove le tradizioni sono molto forti. Da noi, popoli europei, insieme con tanta confusione, c'è almeno il vantaggio che le persone possono fare abbastanza indipendentemente qualunque cosa. Ma presso altri gruppi sociali o nazioni, vi sono persone che non possono fare certe cose, perché il gruppo sociale non lo ammette: e ciò costituisce un limite assoluto.
Realtà di questo tipo ci rendono il senso drammatico dell'esistenza umana, di cui parla la lettera ai Romani: «Faccio il male che non voglio, non faccio il bene che voglio» (7,19). Accettando concretamente questi limiti, Ci troviamo facilmente a ripetere la parabola del fico sterile. Vorremmo produrre molti frutti - e in alcune cose ci riusciamo, per grazia di Dio -, ma non ce la facciamo. Allora il Signore ci fa conoscere i limiti della nostra esistenza faraonica e permette che battiamo la testa, affinché invochiamo la sua salvezza e riconosciamo l'incredibile sovrabbondanza della sua misericordia.
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14/06/2011 20:03

CONTINUA CON
QUARTA MEDITAZIONE


Il passaggio del Mar Rosso

1. La notte del terrore
2. Che cosa farà Mosè?
3. Il passaggio del Mar Rosso
4. Il canto pasquale dei

http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/martini_moses4.htm
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07/07/2011 19:16

quarta meditazione
Il passaggio del Mar Rosso

Il testo fondamentale per questa meditazione è Es. 14, 5-15, 20. Useremo poi altri due testi di appoggio, che sono 1 Cor. 10, 1-2 e Mt. 8, 19-20. Questa nostra meditazione sul Passaggio del Mar Rosso vorrebbe corrispondere, negli Esercizi Spirituali, alla Meditazione del Regno (cfr. ES, nn. 91-100) ed alla sua dinamica offertoriale: dove mai ci sta portando il Signore? Offriamoci alla sua iniziativa con coraggio!

L'avvenimento centrale della nostra fede

Meditiamo, dunque, sul passaggio del Mar Rosso (Es. 14,5-15,20). È questo un testo fondamentale: il testo pasquale per eccellenza. Nella nostra attuale liturgia pasquale il testo di Es. 14, 15-15, 1, che è la terza lettura della Veglia, costituisce un elemento centrale; ad esso segue il cantico di Es. 15, 1-7.17-18. Eppure - stando alle parole - il testo pasquale per eccellenza sarebbe Es. 12, che contiene la descrizione della festa di Pasqua: «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno ». Tuttavia, benché la parola «Pasqua» primariamente si dovrebbe riferire alla festa degli azzimi e alla notte dell'agnello, di cui si parla effettivamente in Es. 12, la tradizione cristiana ha esteso il significato del termine « Pasqua» fino a comprendere il passaggio del Mar Rosso; anzi, il passaggio del Mar Rosso ha costituito un po' la tipologia che ha assorbito tutto il resto. I Padri hanno commentato ampiamente il passaggio del Mar Rosso, intendendolo come la Pasqua cristiana: il battesimo che è segno della nostra dedizione a Cristo.

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Questo avvenimento viene ricordato anche nell'Exsultet - ho sempre davanti a me la Veglia pasquale, cioè il momento dal quale tutto il resto della vita cristiana dipende -, che dice casi: «Questa è la notte in cui hai liberato i figli d'Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso; questa è la notte in cui hai. vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco; questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi ». Questo è già uno splendido commento al testo che stiamo per meditare, testo di fronte al quale si rimane come sopraffatti per ciò che ha significato in tutte le generazioni cristiane, dai commenti dei Padri alle catechesi battesimali della Chiesa antica, fino a noi.
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Siamo battezzati in Mosè

C'è, comunque, qualcosa ancora che vorrei ricordare, prima di occuparci direttamente del nostro testo; il fatto è che già san Paolo faceva meditare su di esso i suoi cristiani in 1 Cor. 10, 1-2: «Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare ». Egli ritiene che tutto Israele sia passato di là. Perciò i cristiani, rievocando l'aggadà della Pasqua ebraica, dovrebbero aggiungere: «Anche noi eravamo là, anche noi siamo stati battezzati con i padri »; insomma, l'esperienza del battesimo che abbiamo ricevuto in Cristo si collega con quella che è stata l'esperienza dei padri. Meditando il loro battesimo, non meditiamo un'esperienza a noi estranea, ma quella che è l'inizio, la spiegazione e il tipo della nostra esperienza battesimale fondamentale. Qui vorrei far notare la stranezza della frase «furono battezzati in rapporto a Mosè » (il testo greco dice: kai pantes eis ton Mousén ebaptisthesan): furono battezzati in Mosè, casi come noi siamo stati battezzati in Cristo. In questa meditazione ci chiederemo che cosa significhi la frase «furono battezzati in Mosè », dato che san Paolo la usa con tanta forza.

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Nel Nuovo Testamento c'è un altro testo molto bello e molto importante, in cui il cammino sotto la guida di Mosè viene interpretato come un cammino di fede: «Per la fede (Mosè) lasciò l'Egitto senza temere l'ira del re. Rimase, infatti, saldo come se vedesse l'invisibile. Per la fede celebrò la Pasqua. Per la fede attraversarono il Mar Rosso come fosse terra asciutta. Questo tentarono di fare anche gli Egiziani, ma furono inghiottiti» (Ebr. 11, 29). L'autore della lettera agli Ebrei intende affermare qui che la fede dei cristiani è oggi in continuità con quella che fu la fede dei padri.
Poste queste premesse, ho pensato di proporvi questa meditazione in modo molto semplice, prendendo qua e là qualche spunto, senza pretendere di affrontare il testo nella sua interezza. Ho intitolato il primo punto «la notte. del terrore»; il secondo « che cosa farà Mosè »; il terzo: «il passaggio attraverso il Mar Rosso »; il quarto: «il canto pasquale dei battezzati ».
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1. La notte del terrore

Il primo punto consiste in un tentativo di commento a Es. 14, soprattutto ai vv. 10-14: «Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi ed ecco gli Egiziani muovevano il campo dietro di loro. Allora gli Israeliti ebbero grande paura ». Siamo perduti! Ecco perché parlo di «notte del terrore ». .
Per cercare di capire meglio che cosa sia avvenuto quando gli Israeliti furono presi dalla « grande paura », ho costruito un piccolo midrash, al modo dei rabbini; si tratta di un raccontino molto semplice, che chiamo il «midrash della tenda ». Immaginiamo la scena. La notte cala molto presto nel deserto; ora siamo all'inizio della notte. A qualche centinaio di metri si sente il va e vieni delle onde del mare, a sinistra si vede l'accampamento degli Ebrei. Si accendono i primi fuochi; tutti sono affaccendati, gesticolano, raccolti in piccoli capannelli gli uomini discutono; c'è qualcosa di grave nell'aria: un momento di tragedia si sta avvicinando; qualcuno corre nel campo lontano, ritorna, porta notizie. L'eccitazione cresce.

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Noi ci avviciniamo all'accampamento e chiediamo spiegazioni con segni delle mani ( allora gli Ebrei non parlavano ancora l'ebraico, che impararono dopo). Ci viene indicata una grande tenda al centro del campo: ci avviciniamo alla tenda e cerchiamo di vedere cosa sta avvenendo là dentro. C'è un uomo pallido, ansimante, senza parola; intorno a lui altri uomini con lunghe barbe e con i pugni tesi. Capiamo che quell'uomo deve essere Mosè e gli altri gli anziani d'Israele. Cosa fa Mosè? :B n, sta zitto, sembra quasi paralizzato. E gli anziani d'Israele che fanno? Parlano, gridano, inveiscono, come. fanno gli orientali quando si adirano.

Parlano gli anziani d'Israele

Cerchiamo di capire cosa dicono. Uno dice: «Ecco, Mosè, dove ci hai portato! Ti abbiamo creduto, pensavamo che Dio ti avesse parlato; e invece siamo qui a morire come topi: o ci gettiamo in mare e moriamo annegati, o ci lasciamo uccidere dal faraone. Ecco dove siamo: è la fine per Israele! ». Un altro si alza e dice: «Credevamo che tu, Mosè, fossi cambiato;
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07/07/2011 19:18

ti conoscevamo imprudente e cocciuto, ma credevamo che il. deserto ti avesse giovato. Invece sei rimasto proprio uguale a quello che eri e ci hai fatto di nuovo precipitare nel disastro,.. Un terzo: «Fratelli, ascoltatemi: noi abbiamo delle armi (infatti dice il v. 16 del cap. 13: «Gli Israeliti bene armati uscirono dal paese d'Egitto»); è vero che gli Egiziani sono potentissimi, ma se andremo contro di loro, almeno chiuderemo la nostra storia gloriosamente. Moriamo da eroi e diamo lode a Jahvé cadendo con le armi in pugno! ». Un quarto, più venerabile degli altri, dice: «Fratelli, ascoltatemi: ho molta esperienza della vita. Conosco bene Mosè e non ho avuto molta fiducia in lui nemmeno quando è tornato; capivo che era un visionario. Tuttavia ascoltatemi: il faraone, lo conosco, non è cattivo; inoltre ha bisogno di noi, quindi non ha nessuna intenzione di sterminare il nostro popolo, ma anzi ha tutto l'interesse di reintegrarci nella nostra situazione. Siamo umili e non tentiamo Dio: la nostra posizione è insostenibile. Mandiamo quindi un'ambasceria al faraone; Mosè non si faccia proprio vedere; vadano invece alcuni dei nostri uomini saggi a dirgli: ' Abbiamo peccato, riaccoglici, siamo pronti a tornare indietro: ci siamo fidati di quest'uomo che ci ha ingannati ' ».
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07/07/2011 19:18

Poi il tono di questo vecchio si fa più suadente, più forte: «Fratelli, ascoltatemi: il faraone significa la sicurezza, la pace, il pane per i nostri figli; non rigettate questa offerta, non siate pazzi! ». Un altro si alza a dire: «E se veramente Dio avesse parlato a Mosè? Cosa faremo: andremo contro Dio? ». Ma un altro lo contraddice: «No, non è possibile, Dio non può abbandonare il suo popolo. La nostra situazione è disperata: come può Dio volere la nostra disperazione? ».
Ecco cosa succede in quella tenda. Da una parte c'è Mosè; dall'altra c'è il faraone con le sue minacce, ma anche con le sue promesse e con ciò che egli significa di ragionevole e giusto accomodamento alle complesse situazioni dell'esistenza. In mezzo ci sono gli anziani, divisi tra Mosè e il faraone. In questo momento sembra davvero che le azioni del faraone salgano, mentre solo pochi osino difendere quelle di Mosè!
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07/07/2011 19:18

Quale dei due?

Riflettendo su questa scena, mi chiedo ancora una volta: «Chi è il faraone, e chi è Mosè? ». Chi è il faraone? Il faraone rappresenta una vita accomodante e accomodata: una vita che tiene conto dei compromessi necessari per garantire una certa quiete. Una vita in cui si salvano capra e cavoli. Una vita nella quale mantengo la mia professione di fede, la mia confessione cristiana, esteriormente, però mi aggiusto in modo che questo genere di vita non sia troppo compromettente. 'Perciò mi adatto ad una certa esteriorità e a certe sicurezze, che in ogni caso mi salvano. Insomma, il faraone rappresenta qui l'accomodamento alla tranquillità mondana, che è un equilibrio ottenuto attraverso un sapiente dosaggio di sequela del Signore e di una certa sicurezza a cui non rinunzio. Sto nel giusto mezzo: in fondo il faraone è ragionevole, accetterà questo compro-1 messo e ci lascerà ogni tanto sacrificare nel deserto. Questo faraone rappresenta davvero la tentazione di ogni uomo in questo mondo. E qui ciascuno potrebbe riflettere su cosa significhi per lui questo faraone del ragionevole compromesso, della ragionevole quiete.

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Ma chi è Mosè? Mosè è l'insicurezza della sequela di Gesù: quella insicurezza sulla quale il Signore sembra insistere quasi pungendo e provocando le persone che si fanno avanti. C'è tanta gente di buona volontà che vuol seguire Gesù, ma Gesù li affronta con durezza: «Uno scriba gli si avvicinò e disse: ' Maestro, ti seguirò ovunque tu andrai '. Gli rispose Gesù: ' Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo '. E un altro discepolo gli disse: ' Signore permettimi di andare prima a seppellire mio padre '. Ma Gesù gli disse: ' Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti ' » (Mt. 8, 19 s.). Gesù diventa provocante, quasi volesse offendere le persone. È come Mosè al Mar Rosso, che propone a Israele una scelta dura e netta, ma priva di ogni sicurezza.,
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La sfida della nostra fede

Mosè rappresenta quell'insicurezza della sequela di Gesù che riguarda coloro i quali accettano la sfida di una vita evangelica, dato che questa, come vita evangelica, è schiaffo per il mondo e schiaffo per tutti i nostri tentativi di salvarci costruendoci degli angoli di tranquillità. È la sfida della fede da cui siamo punti fortemente tutte le volte che ci troviamo in ambienti nei quali siamo in pochi, o quasi soli, a credere, e ci sorge la domanda: «Ma come? tutti gli altri si fanno la loro vita comoda, cercando di godersela quanto possono, ed io devo sacrificarmi cosi? ma perché? ».
Il fatto è che la gente cerca istintivamente di star bene, di godere e di riuscire a sistemarsi, procurandosi la maggior quantità di beni di ogni genere, a proprio uso e consumo. La sfida della fede si fa più chiara proprio quando ci. si trova tra persone per le quali conta solo questa vita, e noi soli continuiamo a credere che non c'è solo questa vita; allora ci sentiamo soli, quasi abbandonati, strani. È la sfida della fede, che ci punge di fronte agli increduli, quando questi fanno massa, fanno opinione, fanno ambiente, fanno potenza. Questa è la sfida di Mosè!

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07/07/2011 19:19

Per capire meglio l'impatto di questa sfida, vi ricordo la scena evangelica descritta in Mt. 27, 39-44, che può essere meditata anche alla luce di questo episodio di Mosè. Gesù è in croce, deriso e oltraggiato: «E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: 'Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, .salva te stesso. Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce '. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 'Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso. È il re d'Israele? Scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio, lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: 'Sono Figlio di Dio ' ». In fondo come negate che i sacerdoti e gli anziani hanno delle buone ragioni quando dicono di Gesù: «Ecco come è andato finire! E lui voleva che la gente gli credesse: meno male che noi abbiamo impedito questa follia; come poteva essere Dio con lui, se poi è finito casi? Noi sapevamo cosa bisognava dire alla gente; anzi, gli avevamo detto di starsene tranquillo, ma non ne ha voluto sapere! ». Con tali accuse Mosè, come Gesù, viene esposto alla massima contraddizione: Dio non è con lui, ma è con noi!
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L'opposizione

Riassumo questo primo punto. Chi è dunque il faraone? Il faraone rappresenta la vita secondo lo spirito del mondo. Tale vita, come ho detto, si trova dappertutto: si trova, per esempio, tutte le volte che noi facciamo della Chiesa una setta e della nostra comunità qualcosa che ha già in sé la sua gloria. Lo spirito del mondo ci spinge appunto a spostare la nostra speranza dalla Parola di Dio alle opere che intendiamo realizzare a qualunque costo. Tale atteggiamento di spirito è inevitabilmente un po' settario, per cui, non avendo messo sufficiente fiducia nella speranza che solo Dio ci dà, si cerca poi di fondarla su qualcosa che ci rappresenti, che ci estrinsechi, in modo da trovarvi la nostra sicurezza.
Chi è invece Mosè? Mosè rappresenta la vita secondo il Vangelo: una vita fondata soltanto sulla Parola di Dio, quindi una vita che non ammette il compromesso. Ecco qual è l'opposizione irriducibile tra le due ipotesi di vita.

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2. Che cosa farà Mosè?

Nel nostro midrash finora Mosè è stato zitto. Cerchiamo di entrare dentro il suo cuore, ove ronzano mille pensieri. Cosa avrebbe potuto fare Mosè? Secondo me aveva quattro possibilità fondamentali.

Le scelte possibili

- La prima possibilità era quella di svignarsela, dicendo: «Fratelli, eiò che avete detto è molto importante e degno di attenta considerazione. Tornate alle vostre tende, datemi un'ora di tempo e poi ci ritroveremo ». Nel frattempo poteva partire e ritornarsene nel deserto. Questo è ciò che fanno alcuni uomini politici, quando hanno portato il popolo sull'orlo del disastro: escono dalla scena, ammazzandosi. Questa del suicidio, d'altra parte, è una tentazione non così rara come si penserebbe.

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La seconda possibilità era quella di armare il popolo conformemente al consiglio di alcuni: «Armiamoci e moriamo da eroi! ». È la scelta del Vangelo interpretato falsamente come eroismo: il Vangelo ci chiama a batterei in maniera spasmodica, a resistere con le nostre forze fino in fondo, lasciando così un nome di gloria, ma di gloria mondana e faraonica . . .

- La terza possibilità, anch'essa faraonica, era quella di organizzare il ritorno, dicendo: «Fratelli, avete ragione. lo sono l'unico che posso proporre questo agli Israeliti ed essi mi ascolteranno: mandiamo un'ambasceria e trattiamo ».

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La quarta possibilità infine consisteva nel fidarsi di Dio, dicendo: «Signore, tu mi hai portato qui; tu agirai ». Una possibilità quasi pazzesca, perché consiste nel non far niente. «E se Dio avesse deciso - poteva pensare Mosè - di non aiutarmi? Tutto mi crollerebbe addosso! ». Proprio qui sta la scelta di fede che viene chiesta a Mosè: si tratta di affrontare l'incognita di Dio. Notate la drammaticità di quest'ultima possibilità, penosa soprattutto quando sono coinvolti altri, che reclamano decisioni di tipo faraonico, concrete e immediate. D'altronde la fede richiede altre decisioni, ma si ha paura di prenderle. In realtà, se Mosè avesse deciso di armare tutti, è vero che sarebbe stato un disastro, ma almeno si sarebbe fatto qualcosa e l'angoscia sarebbe stata vinta. Quanto più terribile, invece, in quella situazione di angoscia insopportabile, il dire: «Il Signore ha parlato, il Signore si mostrerà ». Lo stesso darsi da fare per organizzare il ritorno al faraone, per quanto umiliante potesse essere, sarebbe stato sempre meno angoscioso di una situazione di abbandono nella fede. E qui ricorderei, con tutte le dovute analogie e differenze, l'angoscia di Gesù nell'orto. Anche Gesù avrebbe potuto dire:« Me ne vado; lascio questa situazione; non ce la faccio; non la voglio ». Oppure poteva seguire il consiglio di Pietro: armarsi e morire con i discepoli. Invece Gesù sceglie l'agonia, lasciando che l'opera di Dio si manifesti.
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Mosè diviso

Che cosa sceglie dunque Mosè? Sceglie quello che può, barcamenandosi. . . Secondo me Mosè ha due facce in questa scelta, come ogni altro uomo. La prima è quella del coraggio, la seconda quella della paura. Egli le interpreta tutte e due.
La prima, la faccia del coraggio, è quella che egli, con la grazia di Dio, interpreta di fronte al popolo, perché il Signore gli mette in cuore delle parole coraggiose. Quando la gente grida: «Forse non c'erano sepolcri in Egitto e ci hai portato a morire nel deserto. Non ti dicevamo: ' Lasciaci stare, serviremo gli Egiziani; è meglio per noi servire l'Egitto che. morire nel deserto?' », Mosè risponde: «Non abbiate paura! Non lasciatevi tra. volgere dall'angoscia; siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi. Perché gli Egiziani che voi vedete oggi non li rivedrete mai più ». E poi la bellissima conclusione: «Il Signore combatterà per voi e voi state tranquilli» (Es. 14, 11-14 ).

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