IN SPIRITO E VERITA'

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vita di Mosè

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2011 19:40
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14/06/2011 11:36

Scacco anche nei confronti del faraone, col quale ha tagliato i ponti e ha paura di essere da lui ricercato. Scacco perfino con se stesso: Mosè non è più nessuno. Il v. 29 è veramente drammatico: «Fuggi Mosè all'udire questa parola e divenne straniero nella terra di Madian» (egeneto paroikos, dice il testo greco). Ecco Mosè, il coraggioso, divenuto pauroso; l'uomo che aveva saputo esporsi senza alcun ritegno cerca di salvare la pelle; ha davvero perso la testa: gli preme solo scappare il più in fretta possibile. L'uomo che è stato prototipo! dell'impegno per gli altri, si preoccupa ora solo di sé. «Divenne straniero»: noi sappiamo che cosa questo voleva dire per il mondo antico-orientale, e ancora oggi che cosa vuol dire per l'oriente. Vuol dire perdere tutti i diritti di uomo, perché lo straniero, non essendo tra gente che ha con lui legami familiari, non ha nessuno che lo vendichi, è alla mercèdi chiunque, non ha più nessun diritto.
Mosè, partito da una posizione di privilegio, alla quale aveva rinunciato volentieri pur di entrare nel vivo dell'esistenza del suo popolo, ora viene scacciato: il suo stesso popolo lo respinge. Ormai Mosè non è altro che un poveretto impaurito, che nella notte e nel deserto ogni stormire di fronda fa trasalire. Ecco cosa ne è del coraggioso, di colui che sapeva, che conosceva i metodi, perché era potente in parole e in opere.
L'ultimo versetto ci dà un tratto molto interessante: «Mosè si rifugiò in Madian, dove ebbe due figli ». Qui potremmo chiederei cosa c'entra che « ebbe due figli ». Come mai gli Atti, che riportano elementi ben attinenti alla scena, aggiungono questo fatto, che ebbe due figli? Ho l'impressione che qui il testo voglia dire che Mosè si è seduto e ha detto: basta con le grandi idee e le grandi imprese, basta con la politica; tutti i miei sogni di liberatore sono finiti; ho diritto anch'io alla mia vita. Mosè ha voluto cercare un piccolo luogo tranquillo per dimenticare il passato e quelle amare esperienze che mai avrebbe immaginato di incontrare. Ecco il secondo periodo della vita di Mosè.
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3. L'irruzione di Dio nella vita di Mosè

La terza tappa della vita di Mosè comincia con il v. 30: «Passati 40 anni, gli apparve nel deserto del Monte Sinai un angelo in mezzo alla fiamma di un roveto ardente ». E qui ci fermiamo, perché davanti a questo roveto dovremo rimanere a lungo con la prossima meditazione.
Che cosa caratterizza questo terzo periodo della vita di Mosè? Lo definirei così: il momento della scoperta dell'iniziativa divina nella sua vita. Mosè è giunto alla soglia della verità. Calco la parola « scoperta », che ci ricorda le parole evangeliche: scoprire nel campo il tesoro nascosto, che c'era, sebbene non lo si vedesse; scoprire la perla preziosa che improvvisamente appare tra le altre, e scoprila nella propria vita, non nella vita di un altro: qui dove sono c'era questo tesoro, e io sono vissuto tanti anni senza accorgermene. Ecco descritto il momento di Mosè.
Cerchiamo di vederlo più da vicino questo momento, chiedendoci quale sia stata la preparazione dispositiva che il Signore ha operato gradualmente in Mosè, durante questi 40 anni nel deserto di Madian. E poiché Mosè ci è diventato più familiare, più vicino alla nostra esperienza, possiamo chiedere a lui che cosa abbia fatto in quei 40 anni nel deserto, come passava il tempo, la notte quando non dormiva cosa pensava, perché si è rifugiato nel deserto invece di darsi al commercio e ai viaggi.
A queste domande risponde Gregorio Nisseno. Sappiamo dalla Bibbia (cfr. Es. 2, 16-20) che quando Mosè arriva nella terra di Madian si incontra con le figlie di Jetro e le aiuta - è sempre generoso Mosè -; allora questo sacerdote dall'occhio fine lo apprezza, lo rivaluta, lo rilancia e gli dà in sposa una delle sue figlie. Dice Gregorio: «Jetro gli concesse la scelta di fare quel genere di vita che voleva, e Mosè scelse la solitudine». Forse Gregario parlava di sé: dopo tante esperienze difficili, l'amore alla solitudine in lui era ormai un'acquisizione certa.
Alle nostre domande, dunque, si può ritenere che Mosè avrebbe risposto così: «Che cosa ho fatto per 40 anni nel deserto? Ho accettato la solitudine, anzi l'ho scelta, secondo il consiglio di Gregorio ». Mosè non ha temuto la solitudine.

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14/06/2011 11:37

Quando c'è un vuoto nella vita

Qui apro una parentesi. È noto che esiste una differenza tra isolamento e solitudine. L'isolamento come tale ha un carattere negativo: è l'uomo che vive disperatamente solo, magari in mezzo alla gente, ove comunque si sente non compreso e fallito; al contrario, la solitudine per ogni uomo, anche per l'uomo moderno, è un valore fondamentale. Ciò vuol dire che c'è un momento in cui l'uomo giunge a riconoscere che niente lo soddisfa davvero, che tutti i suoi metodi, tutte le sue esperienze, tutte le sue speranze lo hanno soddisfatto solo fino a un certo punto: rimane ancora un vuoto, un vuoto che soltanto Dio può colmare. È un'esperienza che non si fa quando ancora le cose si accavallano una sull'altra e si continua a sperare che ciascuna di esse riempia quel vuoto. Ma quando sopravviene lo scacco, allora ci si viene a trovare in quello stato di attesa e di vigilanza che fu lo stato di Mosè per 40 anni. Si tratta di imparare ad aspettare Dio: «I miei tentativi non hanno avuto successo; il Signore farà! ». Mosè non spera più in se stesso, nei suoi metodi, nelle sue capacità, né nelle capacità di risposta dei suoi fratelli. Forse in un primo tempo Mosè li avrà ricoperti di improperi, li avrà lapidati in tutti i modi. Ma poi, riflettendo, avrà dovuto concludere: «Abbiamo sbagliato tutti quanti; anche io ho fatto degli sbagli, sono stato troppo pretenzioso; ho lasciato il faraone, però speravo di diventare anch'io un capo; non è del tutto ingiusto che le cose siano andate così, perché in fondo volevo ottenere la mia gloria e il mio popolo sarebbe stato il mio monumento»
Ed ecco la solitudine di Mosè. Egli lascia che tutta la delusione, il dolore, la rabbia vengano a galla; non maschera né sopprime tutte queste cose, ma anzi le affronta, perché non ha più paura di guardare nel1a sua vita. Mosè si ritrova allora in una situazione analoga a quella vissuta nel primo libro dei Re da un altro grande profeta, il profeta che gli sta di fronte, insieme con Gesù, sul monte deI1a Trasfigurazione: Elia.
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14/06/2011 11:37

Diversamente da Mosè, Elia aveva avuto un grande successo: aveva vinto i profeti di Baal sul monte Carmelo con un gesto spettacolare; sembrava perciò che fosse giunto al culmine deI1a sua potenza. Ma la Bibbia ci mostra subito dopo che il grande e coraggioso Elia, che aveva sfidato i 400 profeti di Baal, ha paura e scappa. Teme che lo uccidano, e fugge talmente veloce che lascia indietro il suo servo e s'inoltra nel deserto; dopo una giornata di cammino si siede sotto un ginepro, desideroso di morire, e dice: .$( Ora basta, Signore, prendi la mia vita perché non sono migliore dei miei padri» (cfr. 1 Re 18-19). Credeva di essere di più degli altri, ma poi si ricrede e con sincerità si libera della sua amarezza. A Mosè capita la stessa cosa. Ed ecco che, nella situazione in cui si trova, gradatamente emerge la preghiera, queI10 spirito di supplica che si ritrova nel salmo 31, che chiamerei la preghiera di Mosè nel deserto. Mosè comincia a capire che c'è stato un piano neI1a sua vita, però questo piano non riguarda soltanto lui, ma anche Jahvé.
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14/06/2011 11:37

E lui non aveva mai pensato che l'opera sua fosse opera di Jahvé. La concepiva soltanto come opera sua, fino a che gli si era spezzata tra le mani. Ed eccolo davanti a Jahvé in preghiera, in umiltà, mentre dice: «Signore, che cosa significa tutto questo? Perché mi hai fatto giungere a questo punto? Se vuoi, fammelo sapere ».

In quale di queste tre tappe mi trovo io?

Ci fermiamo qui con la nostra meditazione. Suggerirei a ciascuno di farsi la domanda cui accennavo all'inizio: Dove sono, in quale tappa deI1a vita di Mosè mi trovo, in quale quarantennio? Qual è l'elemento caratteristico della mia esperienza attuale: la gioia, l'euforia, l'entusiasmo, oppure l'amarezza e la stanchezza, oppure la rassegnazione, rassegnazione buona o rassegnazione d'impotenza?

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Che cosa ha capito Mosè? Direi che Mosè ha capito l'iniziativa divina nella sua vita; ha capito che non è lui interessato a Dio, ma è Dio che è interessato a lui: questo è il principio fondamentale della buona novella del Vangelo. Non siamo stati noi a cercare Dio, ma è Dio che cerca noi. Di conseguenza, non è Mosè che ha compassione del popolo, bensì è Dio che ha compassione e dà a Mosè come dono di partecipare a questa sua compassione. Si tratta di una vera e propria Pasqua per Mosè, che ne conoscerà ancora altre nella sua vita; questo è veramente un passaggio radicale: dal tempo in cui Mosè cerca Dio al tempo in cui Dio cerca Mosè. Da questo momento può cominciare la vera missione di Mosè.
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14/06/2011 19:53

seconda meditazione
Mosè e il roveto ardente

I testi sui quali ci fermeremo in questa meditazione sono: At. 7,30-31 e Es. 3,1-10. Altri testi da tener presenti sono: Es. 6,2-13 e 6,28-7,7, più due accenni neotestamentari: Gv. 11,28; Mt. 9,35-10,1. Suggerisco pure il salmo 18, il salmo dell'iniziativa divina.
Chiediamo al Signore di metterci in umiltà e in verità di fronte alla scena del roveto ardente, anche se non ne tratteggeremo in questa meditazione che qualche aspetto del tutto particolare. Vi propongo di procedere secondo tre punti semplicissimi, di intonazione ignaziana: 1) che cosa fa Mosè? 2) che cosa ascolta Mosè? 3) che cosa intende Mosè?

1. Che cosa fa Mosè?

La meraviglia di Mosè

Teniamo davanti parallelamente At. 7,30.31 e Es. 3, 1-3. La prima cosa che fa Mosè è meravigliarsi. Mosè, stando là nel deserto, mentre pascola il gregge del suocero, vede un po' lontano un roveto che brucia e gli sembra che continui a bruciare senza consumarsi; nel suo discorso (cfr. At. 7, 31), Stefano così commenta la scena: «Mosè si meravigliò»

(o de Moyses idon ethaumasen). Questo mi piace molto: Mosè, che ha 80 anni, è capace di meravigliarsi di qualche cosa, di interessarsi a qualcosa di nuovo. Immaginiamoci quella grande pianura dell'Oreb, a 1700 metri di altitudine, sovrastata da grandi montagne, con terrazze successive di sabbia e di roccia: su una di queste terrazze c'è il nostro roveto. Pensiamo un istante che cosa avrebbe potuto fare Mosè. Avrebbe potuto dire: «C'è del fuoco; è pericoloso per il gregge se il fuoco si allarga; andiamo via, portiamo le pecore lontano ». Oppure avrebbe potuto dire: « C'è qualcosa di soprannaturale; è meglio non farsi prendere in trappola; partiamo e lasciamo che i più giovani, quelli che hanno più entusiasmo, se ne interessino: io ho già avuto le mie esperienze e mi basta ».

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14/06/2011 19:53

Invece «Mosè si meravigliò », cioè si fece prendere da quella capacità, che è propria del bambino, di interessarsi a qualcosa di nuovo, di pensare che c'è ancora del nuovo. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un particolare aggiunto al racconto. Io vi vedo piuttosto una profonda riflessione psicologica di Stefano, il quale ha intuito che Mosè, essendo stato 40 anni nel deserto, macerato dall'insuccesso e progressivamente purificato in virtù di quella situazione di vigilanza e di attesa su cui già abbiamo meditato, era ormai maturo per una nuova infanzia, maturo per ricevere la novità di Dio. Mosè avrà pensato così: «Io sono un pover'uomo fallito, ma Dio può fare qualcosa di nuovo ».
Dunque Mosè si meravigliò e poi - continua il l1acconto degli Atti - invece di non badarci ed andarsene, proserkomenou de autou... katanoesai, « si avvicinò per vedere », come di solito le versioni traducono. Ma katanoesai dice molto di più che « vedere »; indica infatti il nous, la mente. Quando in Lc. 12, 24 Gesù dice: katanoesate tous korakos, «guardate i corvi», non vuol dire semplicemente «vedete », bensì guardate, considerate, riflettete, cercate di comprendere, ecc. Qui si vede la libertà di spirito raggiunta da Mosè attraverso la purificazione. Se fosse stato un uomo amareggiato e rassegnato, si sarebbe limitato a concludere: «Una cosa strana, ma non mi riguarda ». E invece no: vuol capire, vuol vedere di che si tratta. Ecco un uomo vivo, anche se vecchio.
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14/06/2011 19:53

La curiosità di Mosè

Passiamo adesso al libro dell'Esodo e leggiamo: « Mosè disse tra sé: ' Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo, perché il roveto non brucia ' » (Es. 3, 3). Il testo greco ha: ti oli?, « come mai? ». Mosè è un uomo che lascia emergere le domande in se stesso; non è più l'uomo che ha già tutto sistemato e catalogato, che ha capito tutto; è un uomo ancora capace di porsi delle domande che esigono un'attenta risposta. Il testo nella traduzione della CEI dice: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo ». La versione non mi sembra molto buona. La Bible de Jérusalem, nell'edizione francese, dice: «Je vais faire un détour », che corrisponde meglio al verbo ebraico sur, che significa « fare una diversione, un giro lungo» e che dà l'idea di un'esplicita volontà: voglio rendermi conto. Mi sembra che si possa supporre una situazione di questo tipo: nel deserto vi sono differenti pianori, uno sull'altro, e spesso bisogna fare un lungo giro per salire al pianoro superiore; Mosè si trova in un pianoro più basso con le sue pecore, vede su un pianoro più alto il roveto e dice: «Andrò su, farò il giro, voglio vedere di che si tratta ». Il che significa lasciare il gregge, forse anche in pericolo, salire sotto il sole, ecc.

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14/06/2011 19:54

Nelle parole «voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo », dunque, scorgiamo l'animo di Mosè; è come se Mosè dicesse: «lo sono un pover'uomo, un fallito, però Dio può fare delle cose nuove, ed io voglio interessarmene, voglio capire, voglio comprendere, voglio sapere il perché ». Notate che qui ritorna la grande domanda che Mosè si era fatta per 40 anni: «Ma perché Dio ha permesso quello scacco? Perché, se ama il suo popolo, non si è servito di me per salvarlo? Perché non ha colto l'occasione che io gli davo? ». Questo « perché », che Mosè ha coltivato, raffinato e purificato, ecco che emerge di nuovo di fronte a quella imprevista visione. Ma l'uomo Mosè è andato assumendo ormai le caratteristiche dell'uomo profondo, maturo, purificato e aperto al nuovo.
Partendo dall'episodio di Mosè, si potrebbe riflettere molto sull'atteggiamento dell'uomo di fronte al mistero di Dio. Quest'uomo potrebbe dire: «Non mi interessa ». Ma può anche dire: «Voglio vedere, voglio rendermi conto, voglio sapere »; in questo caso si tratta di quel primo movimento dell'animo umano, di quella volontà incondizionata di conoscere e di capire, che, come si dice giustamente, sta all'origine di tutto ciò che c'è di umano nel mondo. Se nel mondo c'è qualcosa al di là dell'animalesco, al di là del puro mangiare, bere e riprodursi; se c'è qualcosa di umano; se, come dice Paolo nella lettera ai Filippesi, ci sono affetti, rapporti di amicizia e di comprensione (cfr. Filip. 2, 1 s.), tutto nasce da questa semplicissima affermazione: «Voglio capire ». La stessa civiltà umana si costruisce a partire da questo fondamento.
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14/06/2011 19:54

Mosè, quindi, è l'uomo ricondotto alla radice prima della sua umanità e posto davanti al mistero di Dio. In lui si manifesta quell'incondizionato desiderio di sapere, che sta all'origine di tutto ciò che è umano. .Mosè vuol sapere e per questo fa ancora uno sforzo: abbandona la comodità della pianura, in cui siede all'ombra della sua tenda, e comincia la salita faticosa della montagna; lascia anche le pecore, pur di arrivare fin là e sapere. Questo « sapere» in Mosè è qualcosa che gli cuoce dentro, è una passione che non si è addormentata, ma che anzi la purificazione ha reso più semplice, più libera. Mosè non va sulla montagna alla ricerca di un nuovo successo personale; ci va perché vuole sapere come stanno le cose, vuole mettersi di fronte alla verità così com'è.

Osservazioni dalla letteratura rabbinica

Ci sono due testi rabbinici che si potrebbero citare. Il primo è una pagina in cui si parla dell'aggadà pasquale, ossia l'ordine secondo cui si celebra la Pasqua ebraica. Alcuni ragazzi ascoltano il racconto della. notte di Pasqua. Uno di essi ha sonno; un altro invece dice: «Ma che cosa interessa a me questa storia dell'Egitto? » Un altro ancora fa domande e chiede: «Perché celebriamo questa festa e che cosa significa questa festa per noi? » È questo l'atteggiamento di Mosè, che si pone quella domanda fondamentale: ti oti?, « come mai? ».

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L'altro testo rabbinico, molto bello, è di Rabbi Akiba, vissuto poco dopo Gesù e morto verso il 135, martirizzato dai Romani (si tratta di una personalità chiave per lo sviluppo del giudaismo dopo Gesù). Do qui una sintesi della sua storia. Rabbi Akiba era poverissimo; per quarant'anni condusse una vita di stenti: poi, a quarant'anni, si trovò una volta di fronte ad una fontana che mandava acqua e vide che la pietra sotto la fontana era scavata; allora chiese: «Chi ha scavato questa pietra? ». Gli risposero: «È l'acqua che cade ogni giorno. Non ricordi le parole di Giob. 14,19, secondo cui le acque scavano anche la pietra? ». Allora Rabbi Akiba pensò: «Se dunque l'acqua che è così tenera scava la pietra che è così dura, non avverrà forse che le parole della Torah, che sono dure come pietra, potranno scavare il mio cuore che è molle di carne? ». Fu così che a quarant'anni incominciò a studiare la Torah. Andò con il figlio da un maestro e lo pregò: «Maestro, insegnami la Torah ». Allora egli prese il lembo di una tavoletta, il figlio ne prese un'altra e il maestro scrisse: Alef, e Rabbi Akiba ripoté: Alef. Poi il maestro scrisse la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto ed egli imparò. E così imparò il Levitico, e poi tutta la Torah. Quando ebbe imparato tutta la Torah, venne di fronte a Rabbi Eliezer e Rabbi Joshuà, e ,disse: «Maestri miei, rivelatemi il senso della Mishna - cioè degli scritti che conservano la tradizione orale di commento alla Torah -»; e i maestri cominciarono a spiegare la Mishna e gli lessero una alakà - cioè un brano con una regola morale che spiegava una parte del Pentateuco -. Quando Rabbi Akiba ebbe ascoltato questa alakà, se ne andò fuori a passeggiare, pensando tra sé: «Questa Alef perché è stata scritta? Questa Bet perché è stata scritta? Questa cosa perché è stata detta? ». Tornò indietro e lo domandò ai suoi maestri, ed essi non seppero rispondere.
Notate come in questa storiella troviamo un parallelo alla scena di Gesù tra i dottori. Gesù probabilmente faceva domande semplicissime e proprio per questo riduceva al silenzio i grandi maestri. Gesù, come poi Rabbi Akiba, aveva il coraggio di porre le domande essenziali, quelle che non si fanno mai, perché sembrano troppo ovvie, ma dalle quali nasce tutto il resto.
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14/06/2011 19:54

2. Che cosa ascolta Mosè?

Ed eccoci al secondo punto della nostra meditazione.
Qui, siccome il testo degli Atti è riassuntivo, passo a Es. 3, 4-6. Dice il testo: «Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: ' Mosè, Mosè ' ». Mosè ascolta il suo nome. Immaginate lo shock di paura e insieme di stupore di Mosè, quando si sente chiamare nel deserto, in un luogo dove non c'è anima viva. Mosè si accorge che c'è qualcuno che sa il suo nome, qualcuno che si interessa di lui; egli si credeva un reietto, un fallito, un abbandonato: eppure qualcuno grida il suo nome in mezzo ai deserto. Si tratta di un'esperienza violenta, che forse abbiamo fatto anche noi quando trovandoci in un luogo - per esempio una grande città - in cui credevamo di essere del tutto ignorati, d'improvviso ci siamo sentiti chiamare da qualcuno per nome. Ora Mosè si sente .chiamato per nome due volte: «Mosè, Mosè ».
Che cosa vuol dire questa doppia chiamata? A me viene in mente questa riflessione. Nella Bibbia è abbastanza raro che una persona sia chiamata due volte. Vi ricordo alcuni casi. Il primo testo in Gen. 22, 1 (« Abramo, Abramo ») riguarda il momento culminante della vita di Abramo, quando questi è chiamato a sacrificare il figlio: è il momento in cui tutto il cammino fatto fino allora dev'essere provato, per vedere se è un cammino sincero; ecco allora la doppia menzione del nome: «Abramo, Abramo ». Un altro passo che vi ricordo è 1 Sam. 3, 10; Samuele viene chiamato nella notte: «Samuele, Samuele ». Anche qui siamo di fronte ad una svolta della storia di Israele: finito il periodo confuso dei Giudici, sta per aprirsi il periodo della monarchia, che comporterà un nuovo avvicinarsi di Dio al suo popolo. Un altro passo è Lc. 22, 31:

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14/06/2011 19:55

« Simone, Simone, ecco che Satana ti ha chiesto per vagliarti come il grano». Anche qui abbiamo a che fare con un momento culminante della vita di Pietro. Ancora un altro passo che mi sembra importante è Lc. 10, 41: «Marta, Marta ». Anche qui, sebbene l'episodio sia in sé assai semplice - un episodio da cucina -, tuttavia esso è per Luca molto importante, perché fa da pendant all'episodio del Samaritano (cfr. Lc. 10, 25-37). Maria rappresenta l'ascolto della parola; Marta invece è la persona che, piena di buona volontà, si dedica alle opere di carità, come il Mosè della prima maniera, e vi si è buttata talmente dentro da stravolgere tutti i significati delle cose. Questo passo è veramente importante in quanto fa vedere come Marta, presa dall'assillo di far bene, di far benissimo, di fare un gran pranzo per Gesù, ad un cerco punto ha rovesciato tutti i 'valori: mentre Gesù è venuto in casa come Maestro, è Marta che diventa la maestra e vorrebbe insegnare a Gesù ciò che deve dire e ciò che deve fare, rovesciando così completamente il senso del Vangelo. In fondo, questo è lo scacco del Mosè della prima maniera, che credeva di avere lui tutta in mano la situazione e di poter insegnare a Dio come si doveva fare. Mosè non conosceva certo il passo di Marta, né quello di Simone, ma conosceva la tradizione su Abramo, e quindi poteva rendersi conto del significato di quella doppia chiamata.
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14/06/2011 19:55

È Dio che prende l'iniziativa

Mi sembra che i fatti ricordati siano tutti fatti decisivi. Anche Mosè sente che è giunto un momento decisivo per la sua vita: è il momento in cui deve essere veramente disponibile, senza fare gli errori della prima volta; perciò è pieno di paura: «Cosa mi sta per capitare? ». E qui Mosè ascolta qualcosa che forse non si aspettava. Lui che si era lanciato con tanto ardore per vedere il roveto ardente, avrebbe avuto piacere di sentirsi dire: «Grazie che sei venuto, che non ti sei lasciato vincere dall'amarezza »; e invece ascolta quella voce che gli dice: «Non avvicinarti, togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai è una terra santa ». Qui ritornano alla mente le parole di Gesù alla Maddalena: «Non toccarmi, non trattenermi» (Gv. 20,17). La Maddalena si avvicina a Gesù con amore, ma sempre incapsulandolo nella sua visuale precedente. E invece doveva cambiare il proprio atteggiamento.
In effetti quando l'uomo si lascia trascinare dal desiderio di ricerca, crede di possedere già le cose che cerca, e le possiede in qualche maniera attraverso la sua conoscenza; è così che finisce con l'inserire i fenomeni religiosi che vive, e quindi anche l'attività divina, nel proprio quadro mentale. Questo è un processo inevitabile. Noi infatti non possiamo capire le cose, se non partendo da un quadro mentale che già possediamo e riportandole ad esso. Mosè, con tutto il suo ardore, cercava di fare la stessa cosa: di vedere, cioè, quel fenomeno del roveto ardente come inquadrato nella sua visuale di Dio, della storia e della presenza di Dio nella storia. E allora Dio gli dice: «Mosè, cosi non va; levati i sandali, perché non si viene a me per incapsularmi nelle proprie idee; non sei tu che devi integrare me nella tua sintesi personale, ma sono io che voglio integrare te nel mio progetto ».

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14/06/2011 19:55

Questo è il significato del levarsi i sandali e di quell'avvicinarsi titubante, come quando si cammina sulle pietre senza scarpe, incerti; è l'incertezza dell'uomo che si chiede: «E adesso che cosa mi capiterà? ». Il fatto è che nella disponibilità al mistero di Dio non si può entrare marciando trionfalmente. Ancora oggi i musulmani, entrando nella moschea, hanno il costume di togliersi le scarpe, come chi si presenta davanti a Dio in punta di piedi, in silenzio, non imponendo a Dio il proprio passo, ma lasciandosi assorbire, integrare dal passo di Dio.
Mosè, dunque, ascolta: «Non avvicinarti, togliti prima i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa ». Immaginate lo sconvolgimento di Mosè nel sentire queste parole. E. questa una terra santa? Questo deserto maledetto, luogo di sciacalli, di desolazione, di aridità, dove soltanto i banditi amano venire, dove la gente per bene non abita? Questo deserto dove mi credevo abbandonato, miserabile, fallito: questa è una terra santa? È questa la presenza di Dio? È questo il luogo dove Dio si rivela?
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14/06/2011 19:55

3. Che cosa intende Mosè?

A questo punto Mosè capisce che cos'è l'iniziativa divina: non è lui che cerca Dio, e quindi deve andare, per trovarlo, in luoghi purificati e santi; è Dio che cerca Mosè e lo cerca là dov'è. E il luogo dove si trova Mosè, qualunque esso sia, fosse anche un luogo miserabile, abbandonato, senza risorse, maledetto - potete leggere nella Bibbia vari passi in cui si parla della desolazione che caratterizza il deserto, luogo dove abitano gli sciacalli, i serpenti e gli scorpioni -, quello è la terra santa, lì è la presenza di Dio, lì la gloria di Dio si manifesta.
Vorrei che ci fermassimo un momento a contemplare come Mosè ha vissuto il proprio cambiamento di orizzonte, la sua vera conversione, il suo nuovo modo di conoscere Dio. Finora Dio era per Mosè uno per il quale bisognava fare molto: bisognava fare la rivoluzione, sacrificare la propria posizione di privilegio, lanciarsi verso i fratelli, spendersi per loro, per poi essere ancora scornato e buttato via. Adesso finalmente Mosè comincia a capire; Dio è diverso: finora l'ha conosciuto come uno che ti sfrutta per un po' di tempo e poi ti abbandona, un padrone più esigente degli altri, ... più del faraone; adesso comincia a capire che è un Dio di misericordia e di amore, che si occupa di lui, ultimo tra i falliti e dimenticato dal suo popolo.

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14/06/2011 19:55

Per comprendere qualcosa di questa intuizione di Mosè, vi cito Gv. 11, 28, dove Maria di Betania piange il fratello e lo piange talmente che è rimasta in casa; per lei tutto è finito; è, sì, una donna di fede e crede che suo fratello risorgerà, ma umanamente è disperata, nessuna parola può confortarla, tutta la gioia della vita in famiglia è ormai finita. Eppure, il racconto prosegue: «Marta se ne andò a chiamare di nascosto Maria sua sorella, dicendo: 'Il Maestro è qui e ti chiama ' ». Pensiamo alla sorpresa di Maria, la quale si credeva abbandonata, disperata, senza conforto e invece le viene detto che lì vicino, accanto alla tomba della sua disperazione, c'è il Maestro che la chiama per nome, che ha una parola per lei. Ecco cosa significa capire l'iniziativa divina nella propria vita.
Poi Mosè continua ad ascoltare altre parole: «Disse ancora Dio: 'Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ' » (Es. 3, 6). Notate come sono interessanti queste altre parole, che servono a bilanciare di nuovo l'animo sgomento di,Mosè. Mosè ha capito che non aveva capito niente di Dio; in ogni caso, pensava che quello fosse un Dio nuovo, diverso. Ma ecco che Dio gli dice: «Sono il Dio dei tuoi padri; se tu mi avessi capito, ti saresti accorto che sono lo stesso Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; anche con essi ho agito così ». Il Signore è stato un Dio che si occupa di chi è abbandonato, di chi si sente disperato e fallito. Ed è bello questo parlare rassicurante, perché un uomo che, come Mosè, sa di avere sbagliato tutto, rischia di perdere la memoria; ma proprio allora il Signore gli richiama per intero p passato, che deve essere ricordato e ripensato, affinché appaia chiaramente che esso è stato il. luogo dell'iniziativa di Dio.
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14/06/2011 19:56

Non dimentichiamo mai che il nostro Dio è lo stesso Dio di tutte quelle persone che ci hanno educato alla fede, il Dio dei nostri genitori che ci hanno insegnato a pregare, il Dio dei nostri formatori e di tutti coloro che ci hanno preceduto nella via del Vangelo. Per quanto possiamo aver sempre ristretto a nostro uso e consumo questo nostro Dio, c'è un momento in cui siamo finalmente chiamati, davanti al roveto ardente, a capirlo veramente quale egli è.

Il Dio della misericordia

Seguitiamo ancora con i vv. 7ss., per capire com'è veramente questo Dio: «Il Signore disse: ' Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti. Conosco infatti le sue sofferenze, sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese, verso un paese bello e spazioso dove scorre latte e miele. .. Ora il grido degli Israeliti è arrivato fino a me ed io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano ». Notate qui com'è attenta la dizione, tutta in prima persona: «Ho visto, ho sentito, conosco, sono sceso, ecc. ...» E notate pure l'implicito rimprovero per Mosè: «Tu, Mosè, credevi di essere un uomo molo to colto e molto versato nella conoscenza dell 'uomo; credevi di capire i tuoi fratelli, la loro miseria; credevi di essere tu a prendere l'iniziativa di capirli, e di supplicare poi me affinché anch'io li capissi; eppure sono io che li capisco per primo, sono io che capisco tutte queste cose, sono io che vedo e che sento. Tu, Mosè, credevi di essere il primo ad aver scoperto la bellezza della libertà, desideroso come eri di farla gustare, e non ci sei riuscito; ma tutto questo veniva da me. Tu non hai mai pensato che questa era l'opera mia, e invece ti sei buttato a corpo morto, pensando che l'opera fosse tutta tua, che tutto dipendesse da te. Adesso ti accorgi che io vedo, io sento...; anzi, se c'è in te qualche compassione per il popolo, questa deriva da me; se c'è in te qualche senso di libertà, sono io che te lo do; se c'è in te qualche curiosità, essa è mia ».

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14/06/2011 19:56

Notiamo un ultimo aspetto che emerge dalla lettura patristica di queste parole, alla luce del Nuovo Testamento. «Sono sceso» dice il Signore (v. 8): è Gesù che è sceso per poter dire: «Ho veduto, ho sentito la miseria del mio popolo, la conosco da vicino e il suo grido è alle mie orecchie».
A questo punto cosa succede? Dio dice: «Ora va' » (v. 10). Vedete come agisce l'educazione divina! Una volta che Mosè si è purificato dalla possessività della propria presunzione di salvare gli Israeliti, una volta che si è reso sensibile alla realtà vera delle cose, ecco che Iddio lo rimanda, come se niente fosse, come se mai avesse fallito. Dio gli ridà la piena fiducia: «Io ti mando dal faraone ». Mosè si sente ripreso completamente in mano da Dio e rimandato non per un'opera sua, ma per l'opera di Dio.

Mosè viene assunto per l'opera di Dio

Per capire meglio tutto questo, vi ricordo un altro testo bellissimo, su cui varrebbe la pena di meditare a lungo. Si tratta del passo che ci descrive la compassione pastorale di Gesù in Mt. 9, 35-10, 1. Esso si trova alla chiusura della prima parte del Vangelo secondo Matteo, che ci ha presentato Gesù, come Mosè, potente in parole e in opere: Gesù potente in parole (capp. 5-7: il Discorso della montagna), Gesù potente in opere (capp. 8-9: i dieci miracoli). Leggiamolo e fermiamoci su qualche spunto di riflessione: «Gesù andava attorno per tutte le città e villaggi, insegnando e curando ogni malattia e infermità».
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